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Stili di Vita

FRANCESCO: LA VERA SPERANZA

VALERIO CRUGNOLA - 24/07/2015

Equilibrio-ecologico«Abbiamo smesso di pensare ai fini dell’agire umano», alle «grandi motivazioni che rendono possibile il vivere insieme, il sacrificio, la bontà». Per il pontefice questo smarrimento culturale e comunitario è la radice del degrado che investe ogni sfera del vivere comune. Occorre «recuperare i diversi livelli dell’equilibrio ecologico: quello interiore con se stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio». «L’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza». Dobbiamo uscire dal «paradigma utilitaristico»: è merito del pensiero ecologista aver condotto «una critica dei “miti” della modernità basati sulla ragione strumentale (individualismo, progresso indefinito, concorrenza, consumismo, mercato senza regole)».

La malattia suggerisce la terapia. «Ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie, non con la mera somma di beni individuali. La conversione ecologica è anche una conversione comunitaria». La politica – istituzionale e no – è una di tali reti. La Chiesa non pretende di sostituirsi alla politica. Si limita a sollecitare ampiezza di vedute, mutamenti prospettici e buone pratiche. La Laudato si’ interpella la politica, le donne e gli uomini delle istituzioni, ma altresì le facoltà di scelta dei cittadini. Occorre «un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene comune». Il degrado della politica conosce lodevoli eccezioni, ma è diffuso ovunque. Di ciò sono responsabili, anche se non in pari misura, i politici e chi conferisce loro la delega. La credenza in un futuro felice suscitata dagli attuali sistemi economici e dalle capacità tecniche è svanita, tutto è incerto e fugace, ma nessuno sembra disposto a rinunciare alle possibilità offerte dalla tecnologia. Un mutamento di mentalità consentirebbe ai rappresentati di suscitare, e non solo di denunciare e reclamare, una sorta di catarsi etica e civile tra i rappresentanti; e viceversa. «Un cambiamento negli stili di vita potrebbe arrivare a esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale». A sua volta un potere risanato può facilitare il mutamento degli atteggiamenti dei cittadini, dei produttori e dei consumatori.

La conversione ecologico-sociale della politica pone concreti problemi di competenze delle istituzioni. Qui le questioni ambientali e quelle sociali separano almeno in parte i loro cammini. La via dell’equità resta principalmente di pertinenza delle sfere politiche nazionali, meglio se coordinate tra loro. Gli stati nazionali non dispongono invece di mezzi sufficienti per affrontare da soli le questioni ambientali. Agire localmente in modo virtuoso serve moltissimo in contesti limitati; se anzi l’azione è sorretta da sani moventi civici, «l’istanza locale può fare la differenza». Serve a poco, però, se altrove altre istituzioni locali seguitano ad agire in modo irresponsabile, e se nel contempo non vengono risolte questioni cruciali di equità e giustizia.

Per gestire i problemi globali, occorre «pensare a una nuova etica delle relazioni internazionali». Serve «un consenso mondiale che porti a programmare un’agricoltura sostenibile e diversificata, a sviluppare forme rinnovabili e poco inquinanti di energia, a incentivare una maggiore efficienza energetica, a promuovere una gestione adeguata delle risorse forestali e marine, ad assicurare a tutti l’accesso all’acqua potabile».

La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza, congiunta al particolarismo degli interessi, ha fatto fallire i Vertici mondiali sull’ambiente. Solo una saggia cessione di sovranità in nome del bene comune potrà rimuovere gli ostacoli frapposti dagli stati nazionali in materia ambientale. Vi è ovunque un circolo vizioso da spezzare. Chi governa localmente, schiacciato dalla ricerca di consensi a breve termine, non osa contrastare né gli interessi forti né le cattive abitudini dei cittadini. Chi governa globalmente elude ogni controllo pubblico. «Il dramma di una politica focalizzata sui risultati immediati, sostenuta anche da popolazioni consumiste, rende necessario produrre crescita a breve termine. Rispondendo a interessi elettorali, i governi non si azzardano facilmente a irritare la popolazione con misure che possano intaccare il livello di consumo o mettere a rischio investimenti esteri. La miope costruzione del potere frena l’inserimento dell’agenda ambientale lungimirante all’interno dell’agenda pubblica dei governi. Si dimentica così che il tempo è superiore allo spazio, che siamo sempre più fecondi quando ci preoccupiamo di generare processi, piuttosto che di dominare spazi di potere».

Oggi non sussistono istituzioni sovranazionali che possano imporsi agli stati nazionali, specie se potenti. «Il XXI secolo, mentre mantiene una governance propria di epoche passate, assiste ad una perdita di potere degli Stati nazionali, soprattutto perché la dimensione economico-finanziaria, con caratteri transnazionali, tende a predominare sulla politica. In questo contesto, diventa indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate, con autorità designate in maniera imparziale mediante accordi tra governi nazionali e dotate del potere di sanzionare. In tale prospettiva, la diplomazia acquista un’importanza inedita».

La Laudato si’ fa appello ai responsabili dei governi perché mutino rapidamente politica e convertano le economie dall’attuale spreco consumistico a forme di vita e di produzione di beni ispirate alla sobrietà, alla tutela ambientale e a comportamenti solidali. Il papa ammette le difficoltà. Ad esempio, non possiamo impedire a otto umani su dieci di aspirare ad un’auto privata. Ma se non ne moderiamo l’uso nei due che già ne dispongono – la quota privilegiata della popolazione del pianeta –, seguiteremo a esportare cattivi esempi e in pochi decenni le cose peggiorerebbero irreversibilmente. Occorre un uso diverso, più ridotto e cauto, dei mezzi di trasporto privati. Ma non è in causa solo un modo di consumare. Se vogliamo ridurre drasticamente le ingiustizie sociali che affliggono il pianeta, dovremo imboccare tutti insieme vie alternative, e più virtuose, di sviluppo.

Anche l’economia è parte delle reti comunitarie, un tempo ristrette, oggi globali. Come la politica, l’economia è oggi un mezzo fuori controllo e divenuto fine a se stesso. Non è compito della politica dettare i fini dell’agire umano, né offrire all’umanità postmoderna la nuova comprensione di se stessa di cui ha disperato bisogno. Meno ancora lo è dell’economia, a causa della quale oggi «abbiamo troppi mezzi per scarsi e rachitici fini». «Conviene evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui». «Il mercato da solo non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale», specie se le attività economiche, sottratte alle reti comunitarie, sono orientate al risultato immediato e si subordinano alle logiche autoreferenziali delle tecniche e di chi le controlla. La redditività non può essere l’unico criterio. «Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano». Peggio: «La visione che rinforza l’arbitrio del più forte ha favorito immense diseguaglianze, ingiustizie e violenze per la maggior parte dell’umanità: il vincitore prende tutto». Occorre rimettere al centro delle finalità economiche il lavoro. Gli imprenditori dovrebbero interrogarsi sul senso della loro attività: «Per quale scopo? Per quale motivo? Dove? Quando? In che modo? A chi è diretto? Quali sono i rischi? A quale costo? Chi paga le spese e come lo farà?».

Francesco fa suo il tema della decrescita, stoltamente dileggiato dagli economisti: il mito della crescita ostacola lo sviluppo umano e sociale. «Di fronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per molti decenni, occorre pensare a rallentare un po’ il passo, a porre alcuni limiti ragionevoli e a tornare indietro prima che sia tardi. È arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti».

Lamenta Francesco: «La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai princìpi etici. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo».«C’è bisogno di costruire leadership che indichino strade, cercando di rispondere alla necessità delle generazioni attuali includendo tutti, senza compromettere le generazioni future. Si rende indispensabile creare un sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivanti dal paradigma tecno-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la libertà e la giustizia».

E ancora: «Lo stato di salute delle istituzioni di una società comporta conseguenze per la qualità della vita umana: ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali. L’ecologia sociale è necessariamente istituzionale e raggiunge progressivamente le diverse dimensioni che vanno dal gruppo sociale primario, la famiglia, fino alla vita internazionale, passando per la comunità locale e la Nazione. All’interno di ciascun gruppo sociale e tra di essi, si sviluppano le istituzioni che regolano le relazioni umane». Spetta a ogni Stato pianificare e coordinare ispirandosi a previsione e precauzione, con regolamenti adeguati, vigilando sull’applicazione delle norme, prevenendo effetti indesiderati dei processi produttivi e rischi indeterminati e potenziali.

Francesco ci affida un messaggio di speranza. «Non tutto è perduto. Gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento psicologico e sociale che venga loro proposto. Sono capaci di guardare a se stessi con onestà, di far emergere il proprio disgusto e di intraprendere nuove strade verso la vera libertà. Non esistono sistemi che annullino completamente l’apertura al bene, alla verità e alla bellezza, né la capacità di reagire». Le buone pratiche producono frutti.

Questi quattro articoli, lo so, peccano di omissione. La messa in ombra della sua ispirazione religiosa riduce la Laudato si’ a un documento sociologico, economico e politico. Vale però anche l’omissione inversa: se si eccede nel porne in luce il significato religioso, si stempera l’impatto di un messaggio universale che invoca un urgente mutamento sistemico, oltre che in interiore homine, muovendo da quel cambiamento degli stili di vita collettivi che è l’auspicio di questa rubrica. Il nesso tra le due ispirazioni si risolve in una parola sola: congedarsi dall’individualismo.

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