Con parole semplici e toccanti, papà Cervi, al funerale dei suoi figli maschi, sette, fucilati nel gennaio del 1944, aveva espresso la volontà di sopravvivere all’evento indescrivibilmente doloroso dell’uccisione dei suoi figli per mano fascista. Ho detto sopravvivere ma, in realtà, Alcide e Genoeffa, custoditi e sorretti dalla loro famiglia allargata, sanno che non si può solo sopravvivere: si deve convivere con un dolore grande come l’assenza tragica dei figli. Perché chi lotta per un mondo più giusto, deve continuare a credere nella vita “nonostante”.
A tanti è nota la vicenda dei fratelli Cervi, contadini di Campegine: Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio, Ettore, i maschi di casa. Conosciuti e stimati, sia come agricoltori sia come persone impegnate a lottare per la difesa dei diritti della propria classe sociale. Famiglia battagliera, di lavoratori fieri e ostinati nella ricerca dell’emancipazione sociale e politica. Nel 1869 il nonno Agostino era stato uno dei capi della rivolta contro la tassa sul macinato: arrestato, aveva subito anche il carcere.
Da mezzadri i Cervi erano diventati affittuari e si erano distinti per la spinta all’innovazione, resa possibile anche dall’avvento di moderni strumenti, introdotti dai figli che avevano frequentato corsi professionali e acquistato il Balilla, uno dei primi trattori circolanti in Italia. La loro casa era fornita anche di una discreta biblioteca: in famiglia si leggeva molto, libri di agricoltura ma anche testi di politica.
Negli anni della guerra la loro cascina si trasforma in un rifugio per molti fuoriusciti, porto sicuro per antifascisti e partigiani feriti oltre che per i prigionieri stranieri sfuggiti ai nazifascisti. La Banda Cervi, così è conosciuta, viene costantemente tenuta sotto controllo dalla polizia del regime e la cascina fatta oggetto di continue incursioni. A seguito di alcune azioni partigiane, tutti i Cervi finiscono in carcere.
Quando viene ucciso il segretario comunale di un paese della zona, tocca a loro, a tutti i giovani maschi, finire sotto il fuoco della MVSV (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale).
Era il 28 dicembre del 1943. Il padre Alcide era riuscito a fuggire poco tempo prima e solo più tardi venne a conoscenza della fine dei figli.
I funerali solenni furono celebrati solo nell’ottobre del 1945, a guerra conclusa. Fu in quel’occasione che Alcide, nel commemorare i figli, pronunciò la farse “Dopo un raccolto ne viene un altro”.
Ma perché parliamo di un avvenimento storico in un momento lontano dalle date di celebrazioni ufficiali, come ad esempio il 25 aprile? E perché proprio della famiglia Cervi, tra tanti nomi che hanno contribuito alla storia della Liberazione nel nostro paese?
Perché circa vent’anni fa l’Istituto Cervi ritrovò la memoria di quel lontano 25 luglio del 1943, il giorno della caduta ufficiale del fascismo, quando la famiglia Cervi aveva caricato sul proprio camion i bidoni del latte pieni di pasta condita con burro e formaggio grattugiato, prodotti delle loro stalle. Un pasto semplice, di base, diremmo oggi.
Il camion si diresse alla piazza centrale di Campegine a festeggiare la caduta del regime. Fu distribuita a tutti pasta in bianco che, con la fame e le ristrettezze della guerra, per la popolazione delle campagne costituì un pranzo da giorno di festa.
Da allora sono numerose le sezioni dell’Anpi che rinnovano la tradizione di offrire un momento di condivisione conviviale ai cittadini che credono negli stessi valori della famiglia Cervi. Preparato dai volontari, viene offerto quel pasto semplicissimo, ormai desueto per tutti noi in tempi di fornelli sempre accesi sulle TV nazionali e private, frastornati come siamo da ricette improbabili anche se in apparenza creative. La pasta “in bianco”, in passato piatto tipico del nord Italia, dove il burro era ben più diffuso del pomodoro, resta un piatto nutriente che richiede poco lavoro in cucina.
Anche l’Anpi di Varese ricorda questo avvenimento. E invita tutti, domenica 26 luglio, alla Cascina Mentasti, per un pranzo a base di pastasciutta, quella “dei fratelli Cervi”.
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