Si è appena spento l’eco delle polemiche sulla introduzione della educazione al gender nel piano dell’offerta formativa, contenuta nella legge di riforma della scuola (polemiche in realtà per ora solo sopite dalla circolare della ministra Giannini che ha rimandato al consenso informato da parte dei genitori e di tutti gli attori della scuola), che si è aperto un altro fronte di discussione che sta investendo il mondo cattolico con esiti non scontati: si tratta del Disegno di Legge Cirinnà sulle unioni civili che Matteo Renzi vorrebbe vedere al più presto approvato (in realtà non se ne capisce troppo l’urgenza) nel quadro della grande spinta riformatrice che intende dare al Paese.
Il quadro di riferimento è chiaro: l’Italia è tra i pochi Paesi europei che non disciplinano le unioni omosessuali che altrove (ma non dappertutto) sono considerate equivalenti o paragonabili al matrimonio. Un diritto civile negato o il retaggio di una visione tradizionalista ed omofoba della società?
La Chiesa ha a questo proposito sempre difeso l’istituto del matrimonio come unione di un uomo e di una donna traendo in ciò forza dalla Bibbia stessa (“uomo e donna li creò”, Genesi 1,26-28) e riconoscendolo come fondamento della società stessa. Analogamente è giudicato fuorviante l’approccio della cosiddetta ideologia gender, in nome di una società egualitaria (si partirebbe dal riconoscimento che la differenza sessuale non è “di natura” ma frutto della scelta personale e del condizionamento sociale) più libera e più giusta. In realtà – come ha ribadito papa Francesco durante il suo viaggio in Sud America – “le differenze tra uomo e donna non sono per la contrapposizione o la subordinazione ma piuttosto per la comunione e la generazione, sempre a immagine e somiglianza di Dio”.
Diverso è invece l’atteggiamento verso chi vive la condizione di omosessualità, come ancora Papa Francesco ha avuto modo di dire distinguendo tra le persone – sempre degne di misericordia – e le lobby di ogni genere: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”.
Se questi principi sono chiari, diverso è l’atteggiamento che oggi si riscontra in Italia nel mondo cattolico verso un quadro giuridico e legislativo che sta andando oltre la regolamentazione di convivenze di tipo diverso da quelle di un uomo e una donna. Ne sono già prova le motivazioni della sentenza con cui il tribunale di Milano di fatto dichiara lecito il riconoscimento dei figli ottenuti con la cosiddetta “maternità surrogata”, o la censura da parte del Garante per la pubblicità alla Huggies (ci sarebbe da ridere ma è il segno di dove può arrivare la deriva!) per aver mandato in onda uno spot su pannolini diversificati sulla base delle diverse modalità urinarie di bimbi e bimbe…
Un primo fronte è quello che ha trovato una modalità di espressione nella grande manifestazione di Roma del 20 giugno con (dicono gli organizzatori ma c’è sempre da fare un po’ di tara) un milione di partecipanti. Tantissime famiglie giovani, nessuna sigla ufficiale, personalità politiche di vari schieramenti in ordine sparso, la presenza anche di un Iman sul palco, il messaggio di monsignor Vincenzo Paglia presidente del Pontificio consiglio per la famiglia e del Rabbino di Roma, tutti ad affermare la bellezza del rapporto tra uomo e donna prima ancora di opporsi al gender nelle scuole o al ddl Cirinnà. Alla manifestazione ha aderito anche l’Associazione Genitori e Amici di Persone Omosessuali (AGAPO), eppure per il sottosegretario alle riforme Ivan Scalfarotto si è trattato di un evento “inaccettabile”.
Sull’altro fronte troviamo la Conferenza Episcopale Italiana, che definiremo perlomeno “cauta”: il segretario generale, monsignor Nunzio Galantino, più volte ha fatto sapere di condividerne i contenuti ma non le modalità. Comprensibilmente allineato Avvenire che ha glissato sull’evento cui hanno dato più spazio i quotidiani laici, ma assenti anche Comunione e Liberazione e il Forum delle Famiglie, anche se molti militanti, tra cui Peppino Zola, tra i primissimi seguaci di don Giussani, hanno partecipato entusiasticamente a titolo personale. Anche monsignor Luigi Negri, anch’egli vecchia “colonna” di CL non ha dubbi: “Il mio primo sentimento – ha dichiarato – è di gratitudine al Signore che ha permesso una cosa grande per la vita della Chiesa italiana e per la vita del popolo italiano”.
Perché questa scelta che a prima vista contrasta con una storia pluridecennale di attivismo e di presenza nella società?
Il documento ufficiale della Fraternità di CL sembra porre la questione in termini strategici riecheggiando l’atteggiamento della CEI: “Fin dall’epoca dei referendum su divorzio e aborto la storia ha mostrato a tutti che andare in piazza non produce alcun effetto positivo e non arresta certi processi (…) il movimento in quanto tale ha deciso di non aderire all’iniziativa del 20 giugno, che – al di là delle buone intenzioni di tanti che vi parteciperanno − non sembra adeguata a favorire il necessario clima di incontro e di dialogo con chi la pensa diversamente”.
Non si può dire ora se il “clima di incontro e di dialogo” sortirà qualche effetto. Di certo il dibattito politico sul ddl Cirinnà è aperto, probabilmente nella ricerca di una “via italiana” alle unioni civili diversa da ogni altra legislazione europea, come si coglie leggendo il direttore di Avvenire Marco Tarquinio in risposta a chi propende per il no secco ad una legislazione che riconosca le unioni civili (Avvenire del 16 luglio scorso).
Ma anche qui i dubbi restano e c’è chi non esita a bollare di ipocrisia il ddl Cirinnà che tanto assomiglierebbe ad un cavallo di Troia. Il ragionamento è semplice: l’UE non obbliga alcun Stato a prevedere legislativamente unioni civili o matrimoni omosessuali o in qualunque altro modo definiti con l’intento di ampliare i diritti; ma se lo fa deve accettare le conseguenze dei principi di non discriminazione propri dell’Unione Europea. E allora, vedendo quel che già accade in altri Paesi europei, porte aperte alle adozioni, alla maternità surrogata, all’utero in affitto, a tutto ciò che rende di un figlio un “diritto” ad ogni costo e questo non è francamente accettabile per chi abbia ancora un briciolo di realismo e di passione per l’umano (non parlo di Fede!).
Intanto c’è una via di uscita alla dicotomia che oggettivamente si è creata? Forse l’ha indicata lo stesso Galantino in un’intervista concessa ad Aleteia e riportata da Avvenire del 16 luglio: dopo aver ribadito “dissenso nei confronti della dittatura che vorrebbe imporre il pensiero unico, come dello stesso disegno di legge Cirinnà” ed aver sollecitato la politica ad “un’attenzione alla famiglia perlomeno analoga per intensità a quella che si sta ponendo per realtà assolutamente “altre” dalla famiglia” (attenzione che in verità neanche la DC ha garantito in quarant’anni di governo e a tutt’oggi vergognosamente carente) ha riconosciuto che le modalità in difesa della famiglia naturale “possono essere legittimamente diverse” e che è inutile e senza senso “demonizzarsi a vicenda”. Da qui la “grande necessità di far vedere la bellezza della famiglia” (era la motivazione della manifestazione del 20 giugno!) e l’invito al grande appuntamento di preghiera che la CEI promuove in piazza san Pietro per sabato 3 ottobre, vigilia dell’apertura dell’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi come “risposta di popolo ai molteplici appelli del Santo Padre alla preghiera per la famiglia e per il lavoro dei Padri sinodali”.
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