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Cara Varese

CÀMICE E CAMICIA

PIERFAUSTO VEDANI - 24/07/2015

circoloIl “come eravamo” ci accompagna nel viaggio che si snoda verso il futuro. È un viaggio che prevede felliniani amarcord decennali. Alla mia generazione sembra ieri il tempo del recupero alla memoria del tumultuoso e davvero ruggente dopoguerra, come pure la striscia, altrettanto emozionante, del successivo decennio.

Gli Anni Sessanta, adeguatamente rivisitati, sono poi diventati da antologia perché anche chi non li ha vissuti ha capito che forse sono stati i migliori della intera collezione che ci siamo lasciati alle spalle: infatti li hanno caratterizzati epocali rivolgimenti culturali, sociali, religiosi.

Tanta luce e orizzonti splendidi in pari misura non si sarebbero del tutto rinnovati negli anni 70: già si marciava verso l’ angosciante notte della repubblica, dalla quale il Paese forse non ha tratto compiutamente propositi di reale rinnovamento e opportune conclusioni.

Nel cammino del recupero della memoria collettiva oggi siamo agli anni 80. La rivisitazione è interessante sul piano nazionale, ma ancora di più se guardiamo casa nostra dove si andavano esaurendo gli effetti di un prestigioso sviluppo economico e cominciavano a essere in affanno istituzioni e collettività soffocate da una dilagante, vorace partitocrazia. Che ebbe via libera con l’uscita dalla scena del sindaco Gibilisco a metà del decennio. C’è da sottolineare che il delirio tangentizio non avrebbe mai visto impegnati per vantaggi personali i successori di Gibilisco: furono altri personaggi i collettori dei fiumi di denaro rastrellati sul territorio. L’ inaridimento della politica rallentò fasi di sviluppo interessanti e percorsi che meritavano maggiore attenzione.

Tra le tante vicende cittadine di quel tempo che possono avere un collegamento con i giorni nostri certamente merita attenzione il rapporto con l’Università che al “Circolo” aveva avviato i suoi primi corsi pareggiati all’inizio degli Anni 70. Accadde in una modesta aula sotterranea del padiglione di geriatria, docente il prof. Barbieri, mitico primario medico del “Circolo”.

Ci sono città, anche piccole, che devono la loro crescita se non la loro vita agli atenei: Varese ha impiegato un sacco di tempo ad accettare l’Università e non si è mai sciupata per il suo sviluppo. Sembra addirittura che a volte non abbia perso occasione per ostacolarla con scelte di stampo 1800.

Come quella di non condividere progetto e linee guida del nuovo monoblocco del Circolo, di non collaborare spesso, come si sarebbe dovuto, per una migliore coesistenza di due grandi culture mediche, come quella accademica e quella ospedaliera.

Il “Circolo” ha pagato e paga un pesante vassallaggio politico nei confronti di Milano dove l’ateneo, alla luce di tante piccole e grandi storie, non gode di simpatie o sembra addirittura ingombrante.

Che poi l’Insubria oggi sia meno pimpante rispetto al passato, che a sua volta abbia problemi e soffra per la perdita di un rettore come Dionigi non è una valutazione azzardata. Gli indizi ci sono: la penosa vicenda di Cardiochirurgia, un concorso per un primariato di assoluto riguardo contestato da uno dei partecipanti, un ciclo di lezioni non mediche tenuto da un legale radiato, la perdita di posti letto nei reparti ad opera di dayaki formigoniani, oggi al servizio dei reduci azzurri domani forse della nuova tetta PD.

E non è che questi “piccoli” intoppi possano rallegrare il clan ospedaliero o fargli alzare la testa nei confronti dell’Università. Proprio la crisi di ricettività, vale a dire il sottodimensionamento del Circolo rispetto alle esigenze del territorio, ha riportato d’attualità l’inadeguatezza del progetto del monoblocco, un edificio appunto nato male in rapporto alle necessità. Oggi gli esperti ne parlano come di un mezzo fallimento. E pensare che il progetto fu a lungo tenuto nascosto a tutti, accademici compresi. In un servizio importante come quello della sanità sono decisivi armonia e collaborazione, però per la tranquillità dei cittadini è documentato che da sempre medici ospedalieri e universitari hanno eccellenti rapporti e si tendono sempre la mano in caso di necessità. Si guardano bene dal complicare cose semplici e sensate. Cioè non fanno politica.

Chissà come sarà l’amarcord degli anni 10 del XXI secolo: a volte noi cronisti forse non siamo sereni nei giudizi, tanto più che non va dimenticato che si polemizza con persone comunque a modo.

Nella quotidiana ora d’aria concessa agli scribi ospiti di una nuvoletta dove si pratica la rieducazione, scorrendo la rassegna stampa di un giorno di un futuro che oggi sembra lontanissimo ma non lo è, potrebbe capitare di leggere che a Varese nella gestione del potere politico i responsabili della sanità e dell’ Università dell’Insubria alla fine fossero nella sostanza culo e camicia. Tutto è possibile, ma almeno sino a metà 2015 non lo furono. E gli attenti lettori dei fatti potevano addirittura individuare chiaramente chi fosse la camicia.

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