Confessiamo di aver provato grande disagio, il 17 luglio scorso, nel vedere la Polizia caricare padri, madri e perfino i bambini di Casale San Nicola che protestavano, veementemente in verità, contro l’arrivo di extracomunitari: sembrava di assistere a un episodio del film “La corazzata Potëmkin”, dove i soldati zaristi caricano la folla nella celebre scena sulla scalinata di Odessa. Peggio della Polizia hanno fatto, secondo noi, le sufficienti dichiarazioni del Prefetto Franco Gabrielli: «Se c’è gente che non è d’accordo… se passasse questo principio è finita».
Davvero? Ma non era il preventivo accordo del popolo sulle scelte dei governi (eletti) il cardine della democrazia rappresentativa? Forse dovremmo partire da questo banale interrogativo per tentare, ammesso che sia possibile, di comprendere quel che sta succedendo in Italia, dove a proposito d’immigrazione si sta allargando il divario tra Pese reale e Paese legale e anche tra i cittadini con vedute diverse del problema.
A Varese, ad esempio, durante un consiglio comunale, addirittura v’è stato un aspro scontro verbale tra leghisti e rappresentanti degli stranieri che per poco non sono venuti alle mani. Pertanto, a scanso di equivoci per l’impietosa analisi che andremo a fare, consideriamo opportuno chiarire preliminarmente, che la nostra Patria ideale va dalle Alpi a Lampedusa, che siamo di tradizione cattolica e apartitici per scelta o, se volete, per eccesso di disgusto, e che non ignoriamo il dovere della solidarietà avendo contribuito ad esportarla in parecchie parti del mondo non senza qualche rischio per la nostra vita.
Per mancanza di spazio sorvoliamo sulle dinamiche storiche e sugli errori politici commessi dall’Italia e dall’Europa nel corso della cosiddetta primavera araba (sulla quale all’epoca, e proprio dalle colonne di questo settimanale, avanzammo molte perplessità) che ha fatto da scoperchiamento del vaso di Pandora della compulsata ondata migratoria proveniente dall’Africa. Sorvoliamo sul fatto che l’Unione Europea di quote immigrati non ne vuol sapere e che si è limitata a fornire qualche nave per l’Operazione “Triton” che raccoglie la gente in mezzo al mare e la scarica in Italia. Sorvoliamo sul fatto che, oltre che dal continente africano, gli immigrati ci arrivano anche dal Sudamerica, dal Sudest Asiatico, dai Balcani e soffermiamoci su di un dato numerico: l’Africa è abitata da circa 1200 milioni di individui. Ebbene, possiamo portarceli tutti in Italia?
A questo punto qualcuno a Roma che non sia il Papa, dovrebbe iniziare a domandarsi se non sia folle pensare di poter accogliere in poche strisce di terra, strette tra gli Appennini e il mare, milioni di esseri umani. E per farne cosa, poi, visto che il massimo che abbiamo potuto offrire loro ultimamente sono stati i pavimenti delle stazioni ferroviarie e i massi frangiflutti di Ventimiglia? E non è neppure sperabile che una volta arrivati i migranti si disperdano, poi, per le nazioni confinanti giacché tre di esse hanno già abbassato le sbarre nonostante la Convenzione di Schengen.
A questo punto il capo del governo e il ministro degli interni si trovano col cerino in mano e non sanno come venir fuori dal ginepraio che hanno creato nel Mediterraneo applicando la carità pelosa invece che la logica costruttiva, quella che di solito produce soluzioni accettabili per tutti. La logica, infatti, avrebbe suggerito un blocco navale immediato, la cattura degli scafisti, la distruzione totale dei barconi e, soprattutto, un gagliardo programma di sviluppo dei Paesi originatori dei flussi, con fondi europei spendibili subito, a maggior ragione con i fondi di quelle nazioni che non vogliono i migranti «… perché è un problema italiano».
Giunti a questo punto il poco accorto ministro degli interni ha avuto una brillante idea: diluiamo gli immigrati sulle Regioni, che a loro volta li spalmeranno sulle Prefetture, che a loro volta li appiopperanno ai Comuni che, così, oltre a fare i bancomat del governo, faranno anche gli affittacamere.
Ma quante sono le persone da accogliere? E quante tra esse sono i perseguitati politici soggetti alle tutele dell’articolo 10 della Costituzione? Buio pesto, non lo sa nessuno, crediamo neppure il ministro stesso, e così lui e i suoi funzionari preferiscono parlare di percentuali e non, invece, di numeri passabilmente attendibili. E d’altronde non potrebbero dar numeri certi neppure se lo volessero perché gli sbarchi sono ormai senza soluzione di continuità e i numeri si assommano semplicemente ai numeri.
La Regione Lombardia ha avuto “assegnata” una percentuale dell’8,13% di un totale che nessuno conosce, tanto meno i diretti interessati, cioè le Prefetture e quei sindaci già schiacciati tra il Patto di Stabilità ed esigenze di bilanci sempre più decrescenti. E non parliamo dell’ordine pubblico negli stessi Comuni in presenza del fatto che, pur senza Vigili Urbani, il patto di stabilità non consentirebbe di assumerne altri, neppure dove essi occorrerebbero per far fronte all’ondata migratoria.
Sì, perché è inutile nascondersi dietro un dito: dove esistono comunità d’immigrati, là esistono problemi di ordine pubblico e questo la nostra provincia non se lo può permettere in un momento non certo tranquillo per i suoi abitanti, momento la cui gestione richiederebbe soltanto chiarezza di vedute e il coraggio delle decisioni impopolari. Invece è stato proprio il capoluogo di provincia, Varese, la sede della Prefettura peraltro, ad aver richiesto (esagerando a parer nostro) l’intervento dell’Esercito per il degradarsi dell’ordine pubblico e della sicurezza ad opera dei residenti immigrati.
Il 15 luglio scorso il prefetto di Varese ha convocato i sindaci dei distretti ASL per saggiare la loro disponibilità ad accogliere altre quote d’immigrati oltre a quelli già ospitati. Abbiamo parlato con qualcuno di quei sindaci e ci pare di aver capito che neppure il Prefetto disponga di numeri certi o quantomeno di un progetto organico che contempli un inizio e una prevedibile fine dell’emergenza. Insomma l’immigrazione come la sta facendo gestire Alfano rassomiglia ad un rubinetto aperto che continua a buttare acqua mentre qualcun’altro dovrà correre a reperire i secchi. Il comico, se non fosse tragico, è che nessuno sa prevedere quanta acqua bisognerà raccogliere.
Perplessi, cogliamo un altro aspetto kafkiano di questa epopea: negli improvvisati centri di accoglienza del Varesotto v’è il proprietario dell’immobile che, se è un privato, ci guadagna piuttosto bene; v’è poi il fornitore di pasti, brande ed effetti letterecci che ci pure guadagna ma l’assistenza sanitaria la forniscono, senza beccare un centesimo, i volontari della Croce Rossa.
Ma prevediamo anche il sorgere di un nuovo tipo di business in una provincia dove sovrabbondano fabbriche e capannoni dismessi a causa della crisi economica e delle delocalizzazioni all’estero. Sicché sorgeranno come funghi cooperative che affitteranno quegli immobili per sistemarvi gli immigrati, realizzando così ingenti guadagni con pochi rischi. I rischi (sanitari, di ordine pubblico e di sicurezza), infatti, sarebbero tutti a carico dei Comuni e dei loro abitanti.
Confessiamo di essere sempre più perplessi in questa storia, perché è come se una lucida follia si fosse impadronita delle menti della nostra classe politica e dirigente che, in assenza di trattati bilaterali, in assenza di un piano generale di accoglimento, in assenza di regole, in assenza di posti di lavori da offrire, in assenza di alloggi predisposti, in assenza di mezzi, in assenza di credibili risorse economiche, ha deciso di trasbordare milioni di persone dall’Africa all’Italia.
Senza considerare, infine, che non possiamo spendere soldi stante il mostruoso passivo che già abbiamo e cioè 2.218 miliardi di euro di debito pubblico. A questo punto il Paese reale si scolla ancora di più dal Paese legale, perché incomincia a porsi delle domande che dovrebbero preoccuparci tutti, giacché è su tali domande che in genere s’innestano le rivolte: «E quando saranno finiti i capannoni, quando saranno stati requisiti tutti gli edifici pubblici, che cosa succederà? Ci cacceranno dalle nostre case per far posto agli immigrati?».
Di là delle forzature, per davvero si sta avendo l’impressione che sia in atto quella che in altra circostanza abbiamo definito una sorta di pulizia etnica al contrario. E l’assurdo è che tutto questo non lo sta facendo un’etnia intollerante o un popolo che sia nostro nemico, ma lo stesso governo nazionale che, senza preventivamente concordarlo con i partner europei, si è spinto in un gioco solitario più grande di lui in un momento storico e nell’ambito di un sistema comunitario che sembra studiato apposta per far pagare ai popoli gli errori della loro classe dirigente e/o di potere.
In tutto questo non vediamo quel serio amore di provvedere di Sant’Agostino, non lo vediamo per nessuno: né per i cittadini, né per la Costituzione, né per i sindaci, tantomeno per gli stessi immigrati che, poveretti, sono diventati oggetto di dinamiche dell’accoglienza disordinate, rapaci, lucrose e dai risvolti non sempre limpidissimi. Fino ai massimi livelli.
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