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Lettera da Roma

ALL’ANGELUS DEL PAPA

PAOLO CREMONESI - 21/01/2012

Stamane sono andato all’Angelus del Papa. Arrivato stanco dal lavoro che era quasi mezzogiorno ho inforcato la bici e invece di andare a dormire (mi sveglio alle quattro del mattino) ho raggiunto piazza San Pietro con un po’ di imbarazzo. Scrivo imbarazzo perché paragonandomi agli americani o ai giapponesi che attraversano l’Oceano anche per partecipare a quel gesto, io che abito a un chilometro in linea d’aria dal Vaticano dovrei starci ogni domenica

L’Angelus è l’abbraccio di Roma al Papa. C’è sempre un’aria di festa: famigliole con carrozzine, rumorosi africani nei loro vestiti di festa, compìti prelati, ragazze dell’est che distraggono, gruppi parrocchiali o mariani con i loro striscioni, militari in divisa e ovviamente tanti preti e suore.

In attesa che compaia la bianca figurina dalla seconda finestra dello studio a partire dalla destra della facciata, c’è chi si scatta una foto e chi telefona all’amico, chi legge svogliatamente un quotidiano e chi fa bagnare i bambini nell’acqua di una delle due fontane. D’altronde il Bernini questa piazza, capace di contenere sino a cinquantamila persone, l’aveva pensata così: un grande abbraccio della cristianità al mondo nel cuore della città.

Due megaschermi proiettano le parole dell’Angelus, discreti agenti controllano che non accada niente di strano. Un gruppo di ciclisti accompagna a mano la bici. Decine di bambini agitano bandierine insieme con i loro catechisti. Spesso c’è il sole e allora la facciata della Basilica riverbera di un candido bianco ed è ancora più bella.

Ci sono stati Angelus storici come quello mezzo secolo fa di Giovanni XIII che annunciava il Concilio Vaticano II, di Paolo VI che scongiurava le Brigate Rosse per l’amico Aldo Moro, di Giovanni Paolo II contro la guerra in Irak o nelle ultime settimane della sua vita quando lottava con il microfono per riuscire a pronunciare anche solo un’Ave Maria. Ma nella sua normalità la preghiera delle dodici è sempre stata il momento del caldo abbraccio di un popolo e di una città al successore di Pietro: non a caso viva il Papa! è lo slogan più pronunciato.

Mi viene in mente, con un piccolo brivido alla schiena, lo scenario proposto da un altro varesino, Guido Morselli, quando nel suo geniale Roma senza Papa scrive di una cristianità ormai prossima alla estinzione: Giovanni XXIV non vive più in Vaticano e le cerimonie in Piazza San Pietro sono ormai solo virtuali: si proietta in 3D un Papa che recita l’Angelus: ”Quando ciò che lo muoveva, e commoveva me sino al pianto, non era che pietoso ma anche penoso gioco”.

Ma oggi non è così. Oggi l’incontro è ancora in carne e ossa. E appena Benedetto XVI termina la sua breve spiegazione del Vangelo (evidentemente costretto dalla disastrosa situazione della apologetica attuale a tenere personalmente una mini catechesi) subito scatta l’applauso.

Un gruppo di latinoamericani intona un canto. I giapponesi scattano le foto. Le famiglie romane con la busta delle paste sotto il braccio salutano con la mano e si avviano all’agognato pranzo: qualcuno si informa al cellulare se la TV lo ha inquadrato. Un bimbo rincorre felice i piccioni. In breve la piazza si svuota lasciando i colori e i rumori di una preghiera ma anche di una festa ben riuscita.

Sì, domenica prossima andrò ancora all’Angelus. Sempre facendomi forza. Sempre con un po’ di imbarazzo.

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