Historia magistra vitae, ma anche la cronaca non scherza. In vista delle prossime elezioni comunali nel 2016, non mancano i commenti e i consigli dei protagonisti dell’opinione pubblica ai partiti in competizione, e poiché il PD è il partito che si è mosso per primo e maggiormente, specie con la recente convention di fine giugno, la “Leopoldina” della Schiranna, ecco che commenti e consigli sono rivolti soprattutto al partito di via Monterosa, anche sul filo irto della raccomandazione che sfiora la rampogna.
Sulle colonne di RMFonline è stato recentemente ricordato che la città sa produrre eccellenze personali – vedi i varesini neorettore e presidente dell’Università di Castellanza – che la politica varesina tende a misconoscere e trascurare, difettandole cuore e cervello e sovrabbondandovi presunzione e arroganza. Vengono menzionati gli “eccellenti risultati” della Giunta Fassa – che aveva imbarcato ben tre professori universitari, e altri professionisti – e perfino della prima Giunta Fumagalli, con i suoi due docenti universitari dell’Insubria.
Si trascura che la disponibilità della nascente Uninsubria ad impegnare suoi esponenti nella giunta comunale varesina avveniva in concomitanza con le facoltà ancora gemmate dalle madrepatrie di Milano e Pavia e nella fase cruciale dell’autonomizzazione della creatura del rettore Dionigi, fermo nel presidiare il territorio per colpire il bersaglio grosso; disponibilità poi scemata dopo che – grazie anche ai parlamentari varesini di sinistra ed al ministro Berlinguer – l’obiettivo dell’autonomia venne centrato con l’università dei laghi. Ma soprattutto si trascura di entrare nel merito dei risultati, per vedere se furono davvero così “eccellenti”, stante la vena leghista che comunque li ispirava.
Dalla cronaca di quegli anni soccorre un esempio emblematico, anche se tragicomico: il famoso e famigerato gazebo sulla piazza del Tribunale. Una vicenda che travagliò la Giunta Fassa nel realizzarlo nel 1997, che venne contestata ma non risolta dalla Giunta Fumagalli prima e seconda, e che è arrivata a – non ottimale, ma almeno decorosa – soluzione solo nella seconda Giunta Fontana nel 2013, dopo oltre sedici anni di paradossale tribolazione.
Tutto nacque dalla controversia sull’ascensore, a sua volta partorita dalla guerra del parcheggio tra Comune e Tribunale. Nella ristrutturazione del palazzo di giustizia, con la nuova torre laterale e il parcheggio sotterraneo, il Comune voleva che parte del parcheggio fosse a disposizione del pubblico (e degli avvocati, da sempre assai influenti a Palazzo Estense), mentre le autorità del Tribunale pretendevano che fosse riservato a magistrati, dipendenti e traduzione dei detenuti, forti della spesa a totale carico del Ministero di Giustizia ed invocando ragioni di sicurezza. Nonostante che il tira-e-molla non facesse presagire nulla di buono, il Comune insistette sul principio dell’accesso anche del pubblico, che comportò la fuoriuscita del vano ascensore all’aperto, per permettere ad avvocati e cittadini di accedere da/verso il piano stradale. Da qui il “fungo” fuori terra di circa tre metri, un bubbone che toccava coprire in qualche modo per non compromettere la vista della facciata in stile. E le ragioni tecniche di sviluppo dei piani e di circolazione dei veicoli imposero la collocazione centrale del fungo, a compromettere anche la vista e fruizione della piazza antistante.
Problemone? Problemino? Sta di fatto che la Giunta Fassa vi si incagliò: comprendeva due docenti di università statali – Francesco Ogliari e Luigi Zanzi – e un docente dell’accademia di Brera nonché affermato pittore – Gottardo Ortelli – ma ciò non bastò affatto a semplificare la questione, e finì anzi per complicarla. La soluzione di copertura era stata immediatamente delineata dai progettisti della ristrutturazione del Tribunale, i toscani Fagnoni e Gurrieri, che per il “general contractor” romano Servizi Tecnici Riuniti, commissionario del Comune di Varese per conto del Ministero Lavori Pubblici, avevano studiato un prisma triangolare di vetro-acciaio, a forma di vela, che però non piacque ai professori di Giunta, anche perché sembrava scimmiottare la piramide del Louvre. Seguì l’affannoso rincorrersi di altri otto fantasiosi progetti-schizzo, due dei quali redatti di suo pugno da uno dei professori: non il pittore Ortelli, bensì il docente di storia, avvocato e grande intellettuale varesino Zanzi, volenterosamente coinvolto per il bene della città. Ben undici furono le sedute di Giunta dedicate alla delicata questione, con la finale preferenza per il gazebo, dove aver scartato anche i due bozzetti di Zanzi e perfino un simil-tempio greco.
Un affannarsi di cervelli al più alto livello per una soluzione finale imbarazzante, forse scelta per stanchezza e rassegnazione, in base a un progettino dell’Ufficio Tecnico comunale ad imitazione dei chioschi della Ditta Neri, che produceva gabbiotti in stile Belle Epoque per edicolanti, baretti e fast-food di strada ed altre vendite all’aperto. Sì, perché l’idea prevalsa nella Giunta dei Professori era che il gazebo sarebbe servito non solo per la copertura dell’ascensore ma anche per ospitare del piccolo commercio di piazza. Dopo l’OK sostanziale nella Giunta del 28 giugno 1996, lo proclamava la deliberazione di Giunta n. 454 del 3 ottobre 1997 di approvazione del gazebo per la “modica” spesa di ca. 240 milioni di lire, nel contesto della seconda perizia suppletiva di variante per circa 5,2 miliardi di lire (c’era di mezzo anche la salvaguardia dello scalone in pietra del vecchio palazzo), sul totale di quasi 34 miliardi che è finita per costare la ristrutturazione del Tribunale. Diceva così: “Dopo un approfondito dibattito, l’Amministrazione con lettera del 17 luglio 1996 ha definitivamente deciso di sostituire il prisma in acciaio e vetro, previsto nel progetto originario, con una struttura tipo “chiosco” in ghisa e copertura di rame, a base quadrata, costituita da elementi seriali in parte ciechi ed in parte vetrati, di cui si prevede anche una attrezzatura per sfruttare lo spazio interno usufruibile (fioraio, giornalaio ecc.) secondo i desideri del Comune di Varese”.
Una volta realizzato con tanta fatica e spesa, il “chiosco” quasi-nero così ingombrante non piacque a nessuno. I progettisti Fagnoni e Gurrieri lo sconfessarono, i cittadini e gli utenti del Tribunale cominciarono a chiamarlo “catafalco” e a trovarlo lugubre introduzione alle pene delle aule di giustizia. Così anche il nuovo sindaco Fumagalli, che tuttavia nella sua prima Giunta, pur forte di due professori universitari, subì la ripulsa popolare senza riuscire a combinare niente; finché arrivo la sua seconda Giunta, senza professori, con la quale – affranto – chiese aiuto alla popolazione per rimuovere l’obbrobrio e sostituirlo con qualcosa di decente.
Sul sito internet comunale e su La Prealpina del 2 marzo 2002 partì un sondaggio, che ripresentò gli otto progetti alternativi della Giunta Fassa chiedendo di votarli o di proporne altri. Nulla di fatto, complice la caduta traumatica di Aldino per input provenienti da quello stesso Tribunale davanti al quale troneggiava l’obbrobrio.
Anche Fontana, pur utente privilegiato del Tribunale per ragioni professionali, ci mise un mandato intero a studiare l’argomento prima di intervenire, forse prigioniero del principio che il parcheggio potesse servire al pubblico e quindi il vano ascensore di tre metri dovesse continuare a troneggiare in mezzo alla piazza. Ma poi all’inizio del suo secondo mandato, accantonato l’uso pubblico del parcheggio, fu decisa l’eliminazione del gazebo e il ridimensionamento a circa un metro del fuori-terra per extra-corsa del vano ascensore. Così a fine 2011 lo scatolone di ghisa coperto di rame fu espiantato e tradotto all’ex Macello Civico, in attesa di tempi migliori ed eventuali giornalai o fioristi acquirenti. Poi a febbraio 2013 il regalo di VareseVive, che su bozzetto di Salvatore Fiume realizzò e collocò l’Antropotauro bronzeo attuale, con malcelata meraviglia dei più maliziosi tra i varesini a constatarne gli attributi posteriori. Forse lo stile vitalista e barocco-magniloquente dell’artista siciliano non combacia perfettamente con il primo Novecento della facciata tribunalizia, ma tant’è, ci si consola rispetto a prima!
In conclusione, non sembra che tanti professori di vaglia e nome abbiano prodotto in automatico l’eccellenza dei risultati delle Giunte d’appartenenza, né che su di essi debba fondarsi la speranza di rinascita di Varese. Forse risolvere i problemi d’una città non dipende solo dalla quantità e qualità neuronale del vertice politico-amministrativo comunale, ma soprattutto dalla miscela delicata e magica di affiatamento tra amministratori e tecnici, buone relazioni coi cittadini, spirito di servizio diffuso e buon senso applicato sistematicamente. Portare tanti fiori all’occhiello non è garanzia sufficiente di vera gloria, e sempre ai posteri rimane l’ardua sentenza.
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