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Editoriale

NEW ITALY

MANIGLIO BOTTI - 24/07/2015

rimini“C’è una città che per me è meravigliosa, aperta, includente, operosa e allegra, multiculturale, poetica, anche un po’ folle… Rimini… aveva tutto il diritto di vivere in allegria il tempo migliore che la storia abbia consegnato all’Italia, gli anni Sessanta”. Così Walter Veltroni, qualche tempo fa, in un’intervista al Corriere Romagna”. Lo stesso Veltroni, già direttore dell’Unità e segretario dei democratici di sinistra, che di quella “incredibile” epoca riminese, e italiana, ha scritto un saggio-romanzo: “L’Isola delle Rose”, raccontando la storia di una piattaforma costruita da un imprenditore locale in acque pseudointernazionali, piattaforma divenuta una specie di neo-repubblica indipendente e, infine, fatta saltare per aria dalla Marina. Un altro mistero degli anni Sessanta…

Perché se Varese, non si sa se a buon diritto o no (ma la nascita della Lega, una trentina di anni fa, induce a propendere per il sì), si può considerare laboratorio politico, quest’altra più nota cittadina di provincia può rappresentare invece, dell’Italia, il vero termometro sociale. Dalle mode (a cominciare dalle minigonne sfolgoranti per le ragazze – primi anni Sessanta, appunto – per continuare con gli zatteroni o con i borselli o con i pantaloni alla pinocchietto o con i tatuaggi) alle vere e proprie e più profonde trasformazioni di un paese. Il turismo, per esempio, che dovrebbe essere uno dei principali cespiti dell’Italia in crescita o in crisi perenne (e in questo ambito, come si dice, Romagna docet), è cambiato di centottanta gradi: dai tedeschi e dai nordici (anzi, dalle nordiche) si è passati ai russi, anche se i giornali locali lamentano un calo vistoso di presenze. I quali russi (ma anche i cinesi) non si sono limitati a venire sull’Adriatico in vacanza, ma l’Adriatico piano piano hanno cominciato a comperarlo.

Gli extracomunitari – e non ci si riferisce soltanto ai vu’ cumprà – sono diventati padroni delle spiagge. Prima se ne vedeva uno ogni tanto, adesso in giro per Rimini si fa quasi fatica a scorgere i tipici rappresentanti della famigliola milanese – papà, mamma e figlioletto – assisi sotto gli ombrelloni. Ma non è soltanto Rimini che s’è trasformata, è l’Italia stessa che è cambiata. Le invasioni “irregolari” così tanto paventate, i problemi della sicurezza (ma quando mai si è davvero felici e sicuri?) sono già avvenute.

Un solo esempio per tutti: i giocatori delle tre tavolette – una truffa antica come il mondo – sono stati sulla strada più di altre avanguardie del cambiamento: una volta, padroni del campo in senso assoluto, erano i napoletani; poi sono arrivati gli slavi, e hanno dominato per almeno due decenni; adesso sono tornati in auge i napoletani, i quali però non operano più da indipendenti ma in combutta o al servizio degli slavi… Insomma, i russi si sono comperati anche loro.

È questo il senso dell’Italia in trasformazione misurata dal termometro-Rimini? Mentre al Nord (nel profondo Nord) la Lega cerca nuovi orizzonti battagliando contro l’euro e contro “questo tipo di Europa” (ma non si dice in verità quale tipo si vorrebbe, forse un’Europa senza tedeschi e senza francesi?), Rimini risponde con esempi di un nuovo tipo di Italia. Un’Italia già nelle mani degli uomini di Putin, che anche quest’anno – a distanza di più di trent’anni dai primi arrivi che ne consolidarono un turismo che stava evaporando – attende per rifarsi un po’, e magari per ritrovare sé stessa, le duecentomila presenze dei ragazzi e delle famiglie, resistenti, di Comunione e Liberazione. Un nuovo Meeting dell’amicizia tra i popoli, tanto per stare in un rito francescano dell’incontro e dell’accoglienza. Meeting che però, ahinoi, durerà soltanto per una settimana.

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