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Cultura

UN PROFETA ATTUALE

LIVIO GHIRINGHELLI - 17/07/2015

marcuseAll’epoca della contestazione, non solo in Italia, ma anche nel mondo, l’ideologia del ’68 e dei movimenti studenteschi era espressa da Eros e civiltà (1955) e L’uomo a una dimensione (1964) di Herbert Marcuse. Le due opere rappresentavano rispettivamente la pars construens e la pars destruens del suo sistema filosofico, la società ideale e quella odiata caratterizzata dal benessere materiale, dalla cornucopia globale, dai consumi senza freno, che aliena le masse operaie mortificandone spregiudicatamente lo spirito rivoluzionario, anche per l’infoltirsi dei lavoratori da ufficio, i colletti bianchi, erogatori dei servizi funzionali a un sistema sociale, che assorbe ogni tentazione di rivolta.

Sempre escluso dalla proprietà dei mezzi di produzione e alienato sostanzialmente dai frutti del lavoro per il quarto stato medesima risulta la gerarchia dei valori, uguali gli orientamenti esistenziali, anche grazie a una mediazione che favorisce la legittimazione di quanto vige strutturalmente. L’apertura esibita al dialogo e alla critica si conclude con la legittimazione di una democrazia formale, che assorbe ed amalgama tutte le voci alternative. Le fondamentali regole del gioco permangono inalterate. La produzione sempre più ricca provoca gli sprechi più dissennati ed eticamente ripugnanti, si crea un pensiero unico, che finisce col predeterminare anche il tempo libero dal lavoro. Il progresso scientifico e tecnico inarrestabile fa violenza alla stessa natura, alla biosfera. Il tutto favorisce la tradizione guerrafondaia del nuovo imperialismo. Di qui la necessità di un intervento rieducativo, di un’autentica mutazione antropologica.

Nell’opera precedente, Eros e civiltà, c’era la rivalutazione del versante corporeo-sensoriale, coniugando principio del piacere e principio di realtà. Vi dominava il Freud della teoria degli istinti, delle pulsioni, non soddisfatte, anzi represse dal sistema della civiltà. L’appagamento sensuale ed erotico viene decurtato, grazie anche alla sublimazione. Nel contrasto eterno tra Eros e Thanatos trionfano l’insoddisfazione di sé, il senso di colpa. Solo che per Marcuse la tirannia delle convinzioni imperanti non è inevitabile, fatale; ci si deve prefiggere la leggerezza di un’attività senza scopo, liberata da Ananke e dalla competizione, all’insegna e all’altezza del gioco, dal principio di servizio, in sintonia colla natura.

Nato il 18 luglio 1898 a Berlino, nel quartiere signorile di Charlottenburg, figlio di Carl, industriale tessile e di Gertrud Kreslawsky, erede di un ricco agricoltore, coppia di origine ebraica, Herbert frequenta scuole di rilievo, aliene dai potenziali contenuti sia sovversivi che trascendenti. È già giovanissimo un lettore accanito della letteratura sia tedesca che straniera. Frequenta l’Università di Berlino mentre ancora è sotto ferma militare. Si iscrive nel 1917 al Partito Socialdemocratico, che lascia per protesta dopo la repressione violenta del movimento spartachista. Si laurea nel 1922 con una tesi sul Romanzo d’artista nella letteratura tedesca. Nel 1925 scrive una biografia di Schiller, autore che apprezzerà sempre specialmente per le Lettere sull’educazione estetica dell’uomo: l’arte rappresenta come una cartina della società, ma la trasfigura. Entusiasmato dalla lettura di Essere e tempo di Heidegger si trasferisce colla moglie a Friburgo. Del 1932 è il trattato L’ontologia di Hegel e la fondazione di una teoria della storicità.

Non accetta l’adesione al nazismo di Heidegger ed entra a far parte dell’Istituto per le ricerche sociali di Francoforte, scuola nata nel 1922 e diretta da Max Horkheimer. È alla ricerca di un nuovo approccio critico al marxismo alla luce della filosofia hegeliana e dei vari fallimenti (vedi quello della rivoluzione bolscevica). Poco prima della presa di potere da parte di Hitler lascia la Germania e poi l’Europa per gli Stati Uniti e nel 1940 vi acquista la cittadinanza. Del 1941 è Ragione e rivoluzione, in cui stabilisce una netta separazione tra il momento rivoluzionario di Hegel e quello conservatore. Rimane deluso per il processo di denazificazione del dopoguerra e lavora fino al 1951 al Dipartimento di Stato presso la Divisione di Studi per l’Europa. Del 1958 è Il marxismo sovietico: un’analisi critica impostata sulla perdita di coscienza rivoluzionaria.

Nel 1965 è a San Diego in California per insegnarvi Politologia. Del 1967 il Saggio sulla liberazione, in cui esprime profondo interesse per i movimenti neoradicali. L’anno successivo viene sospeso dall’insegnamento per la pericolosità dei principi professati. È criticato altresì dalla Sinistra ortodossa per la sua deriva libertaria. Del 1972 è Controrivoluzione e rivolta: analisi dei motivi che hanno determinato il fallimento della rivolta giovanile. Del 1978 La dimensione estetica: solo nell’arte è il riscatto, l’uscita dal contesto dei rapporti e dei valori di scambio per fare l’ingresso in un’altra dimensione dell’esistenza.

Marcuse nutre una forte diffidenza nei confronti della scienza che si limita alla pura presa d’atto dei fatti, fondata su questioni inessenziali di correttezza metodica e procedurale e mentre rivendica il diritto alla rivoluzione pulsionale sostiene il primato dell’immaginazione filosofica. Se vede negli studenti l’elemento catalizzatore del dissenso verso il sistema di dominio capitalista, non vi scorge la nuova classe rivoluzionaria. Non è certo convinto con Popper che la democrazia parlamentare americana possa essere definita come la miglior creazione politico-istituzionale possibile, cui apportare casomai con le riforme aggiustamenti e perfezionamenti. Quel modello è invece per lui solo un involucro neutro nemico d’ogni cambiamento qualitativo. Solo due fedi vi sono assolute: la santità dell’economia di mercato e il potenziamento illimitato della macchina tecnoscientifica. Rispetto ad Adorno, che propende per una inammissibilità anche etica della decisione e della prassi, teoria e prassi per Marcuse sono inscindibili e devono tendere al miglioramento della realtà.

Secondo lui Hegel ritiene che l’uomo possa giungere a possedere la verità in quanto gli è concesso, e ne ha il dovere, di concorrere decisamente a costruirla; è la componente soggettiva a svolgere una forza di concettualizzazione e di trasformazione pratica esercitata sugli oggetti, laddove l’oggettività stessa è irrequietezza e mobilità ed urge verso il superamento di se stessa; non è certo l’Hegel dei Lineamenti di filosofia del diritto (il filosofo della formula: ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale) che arresta la dialettica risolvendola e dissolvendola nel consenso allo Stato di polizia prussiano verso la fine della sua vita. Quello che appassiona invece Marcuse è l’Hegel degli anni giovanili sino alla pubblicazione della Fenomenologia dello spirito. J.Habermas vede in Marcuse la coerenza di una soggettività ribelle minacciata, più che dai detentori del potere, dalla tendenza interiore dei singoli ad afflosciarsi nell’accettazione passiva della conservazione dello status quo (quello che si potrebbe definire Termidoro psichico).

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