Fu la coraggiosa vicenda di Franca Viola, la giovane di Alcamo che nel ‘65 denunciò i suoi violentatori trascinandoli in giudizio, ad aprire la strada per mettere fine, almeno sulla carta, alla consuetudine del cosiddetto matrimonio riparatore. Il coraggio di una giovane e della sua famiglia segnò quell’anno una svolta storica nel nostro Paese e nel mondo femminile.
Ma è di pochi giorni or sono la notizia di un omosessuale, ufficialmente morto suicida per una overdose di farmaci. La morte di Tonino, questo il nome con cui tutti a Cerignola conoscevano il quarantenne Antonio Intellicato, è stata però segnalata dalla cronaca come atto finale – voluto o subìto sarà da accertare – di una lunga catena di vessazioni mentali e fisiche da parte della famiglia e di un contesto sociale che riteneva un oltraggio la conclamata diversità dell’uomo.
Anni prima Tonino era scampato alle coltellate di un fratello e a un tentato suicidio, consumato nell’ospedale in cui era ricoverato. Sembra dunque che la storia non smetta mai di riportarci indietro.
Di recente la vittima s’era macchiata di un imperdonabile oltraggio: la scelta di partecipare al Puglia Pride. A far uscire dai gangheri parenti e compaesani era stata quest’ultima goccia, aggiunta al vaso già colmo di strappi alla corrente mentalità con cui Tonino si doveva confrontare ogni giorno: cioè che l’uomo non può che essere uomo e la donna donna. Inchiodati, insomma, allo schema fisso di una certezza che non ammette tracimazione da un versante all’altro: in mezzo starebbe il liquame putrido e insidioso di una sessualità indefinita, pericolosa nella sua diversità, perché pronta ad aprire falle di incertezze di legami parentali e legali, di ripensamenti affettivi, di aperture di credito a situazioni inedite e dunque portatrici di cambiamenti di mentalità e di schemi prefissati da una società che non fa sconti. Soprattutto a chi sceglie di cambiare strada. A chi mette a repentaglio la perdita di quell’onore basato sulla regola fondante di un’ impeccabile salute dell’apparenza, del buon nome della famiglia, di quell’onorabilità di facciata che a tutto s’inchina, anche a prezzo dello strazio di un figlio.
Umiliazioni, dileggi, botte e vessazioni fisiche e morali: la passione di Tonino è durata quanto la sua vita, a partire da quando il suo occhio e il suo cuore hanno cercato e intravisto amore in uno specchio, che non era quello degli altri. Sul tavolo dell’obitorio di Cerignola oggi c’è il corpo di un uomo, martoriato nel profondo, che chiede verità e giustizia, e che, prima di chiudere gli occhi per sempre, ha forse invocato il perdono per un male mai commesso.
Riuscirà la morte di Tonino, sulla quale si dovrà fare piena luce, a dare una svolta liberatoria a un mondo arretrato e arrogante, che sacrifica a personali tabù e convenienze le libere scelte del suo prossimo?
Idealmente, assieme alle nostre parole, vogliamo deporre un fiore bianco ai piedi del sudario di Tonino. E ricordare il Dio di misericordia della “Preghiera in gennaio” scritta da Fabrizio De André per l’amico Luigi Tenco. Quel Dio di misericordia – ricordate? – invitava i suicidi nel suo paradiso “baciandoli alla fronte” e soffocava tra le sue braccia – ricordate anche questo? – “il singhiozzo / di quelle labbra smorte / che all’odio e all’ignoranza/ preferirono la morte”.
Ha detto rivolgendosi ai giornalisti al rientro da Rio de Janeiro, nel 2013, Papa Francesco: “Se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarlo?”
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