La questione greca di queste ultime settimane ci spinge più che mai a chiederci quale sia il valore aggiunto della permanenza del nostro Paese nell’Unione Europea.
È indispensabile tenere a mente il valore che l’Europa ha avuto nella nostra recente storia e le ragioni che hanno spinto i suoi padri fondatori a compiere un passo così importante e così rivoluzionario per quel periodo.
Fino al primo accordo siglato nel 1951 per costituire un mercato unico del Carbone e dell’acciaio (CECA) non ci fu mai vera pace tra i paesi del vecchio continente ma una continua tensione che preparava le guerre successive.
Quello della CECA non fu solo accordo economico ma un trattato tra Stati che ponevano le basi per avviare un periodo di pace duratura e di sostegno reciproco, sia che fossero usciti vincitori o vinti dal secondo conflitto mondiale.
L’Europa Unita nasce quindi dal bisogno concreto di non farsi più la guerra e di lavorare insieme per la ricostruzione di Paesi devastati da due conflitti mondiali ravvicinati. Nasce dalla necessità di un modo nuovo di guardarsi e trattarsi l’un l’altro. Non più nemici o avversari ma alleati.
Tuttavia la nascita della CECA non è l‘unico punto di svolta della vita dell’Europa degli ultimi sessant’anni. Un secondo episodio ha segnato la vita dei popoli europei: il crollo del muro di Berlino del 1989. Un fatto che ha la sua origine nella forza di un ideale ancor prima che in una semplice strategia geopolitica.
Václav Havel, primo presidente della Cecoslovacchia postcomunista, ne “Il potere dei senza potere” sostiene che “la vera risposta alla situazione non sarebbe stata una rivoluzione violenta, né una semplice riforma politica o il mero superamento del totalitarismo in favore di una democrazia parlamentare, ma una vita, personale e sociale, giocata nella ricerca della verità”.
Ora per queste stesse ragioni ideali di cui parla Havel possiamo dire che siamo a sostegno di un idea di Europa che difenda la vita, la famiglia e attui politiche a partire dai bisogni delle persone e non a partire dalla finanza internazionale.
Non ci serve, e soprattutto non vogliamo, un’Europa pronta a sostenere posizioni relativiste che continuano ad attentare alla tradizione dei suoi popoli.
Di fronte alla crisi greca la prima preoccupazione non può essere quella di evitare il contagio bensì quella di salvaguardare le esigenze e le necessità di un popolo anche se questo ha commesso degli errori nella definizione delle sue politiche economiche degli ultimi decenni.
Oggi l’Italia ha una paura mostruosa del contagio greco. Dovrebbe invece lavorare di più perché finisca l’epoca dell’Europa dei tecnocrati e si riparta da ciò che ci ha unito, ossia politiche utili a far crescere tutti gli stati membri quali ad esempio una politica comune sul lavoro, una politica comune sulla tassazione, una politica comune sulla gestione dei confini esterni all’Unione e un politica comune sull’immigrazione.
Questa è, più che mai, la sfida della politica oggi!
Solo se si avrà il coraggio di prendere decisioni simili allora l’Europa potrà tornare ad essere una casa comune per tutti e non un cappio al collo.
GiovanniChiodi
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