Negli anni che vanno dal 1861 al 1873, per reprimere quella protesta popolare della gente del Sud che, frettolosamente, la storia definì brigantaggio, furono impiegati oltre 120.000 militari tra cui la bellezza di ventiquattro dei trentasei Battaglioni Bersaglieri esistenti nel Regio Esercito in quel periodo, cioè un terzo della forza. Come sempre avviene quando diventa aleatorio il confine tra la giurisdizione civile e quella militare, per “pacificare” il Sud si ricorse ad esecuzioni sommarie, alle distruzioni di edifici, alle deportazioni e perfino alla devastazioni di terreni agricoli facendo, si stima, intorno alle 200.000 vittime: più di quante ne ebbero tutte le guerre che portarono all’Unità.
Può piacere e non piacere ma quelli furono i metodi con cui si annessero le province meridionali che, per fortuna, poterono godere di una parvenza di pacificazione grazie non alla forza delle armi ma a provvedimenti di legge che, in qualche misura, andarono a colmare almeno in parte il divario sociale tra le classi a ad eliminare secolari abusi. Ciò fu possibile soprattutto ad opera di uomini di cui, come tutti i facitori del bene, la storia violenta dell’Unità ha tentato di cancellare perfino la memoria. E ci riferiamo, giusto per fare un solo esempio, al Conte Gustavo Ponza di San Martino che, nella difficile carica di Luogotenente delle provincie meridionali, non sollecitò operazioni militari ma provvedimenti che oggi definiremmo di “sostegno umanitario”, curando peraltro di instaurare un dialogo con tutte le parti sociali, perfino con i legittimisti, cioè con i sostenitori del deposto re Borbone.
Questa premessa per spiegare meglio l’inutilità dei militari in servizio di ordine pubblico in tempo di pace, anche se, purtroppo, ai governanti del Belpaese che inclinano da secoli a scaricare sulle forze armate le loro responsabilità, la storia con i suoi vichiani insegnamenti non è mai stata maestra di vita… forse per il semplice fatto che essi non l’hanno studiata abbastanza. Infatti, per arginare la malavita e il degrado civile che, sebbene in misura diversa, oggi affliggono tanto il Sud quanto il Nord, essi continuano a puntare sull’Esercito, nonostante il fallimento delle recenti operazioni di controllo del territorio denominate, di volta in volta, Vespri Siciliani, Riace, Partenope, Strade sicure, eccetera.
E, pensate, i politici sono riusciti a inventarsi perfino un’operazione militare per rimuovere l’immondizia dalle strade di Napoli, la cosiddetta “Operazione strade pulite”.
La verità è che essi non vogliono capire che neppure l’Armata Rossa al gran completo potrebbe frenare l’illegalità che sta montando nel nostro Paese. A tal proposito ci giova, tra quelle sopra ricordate, ritornare sull’operazione Riace perché i ricordi professionali di chi scrive ben si prestano a dimostrare l’inutilità delle operazioni militari per il controllo del territorio nazionale in tempo di pace, se poi non se ne rimuovono le cause.
Dal 1994 al 1995, in Calabria operò l’equivalente di due Reggimenti organici a protezione della vita e dei beni di personaggi impegnati nella lotta alla ndrangheta ed alla massoneria, tra i quali quel mastino del Procuratore Capo di Palmi, Agostino Cordova, che nel frattempo era diventato Procuratore della Repubblica a Napoli. Secondo il principio latino “Promoveatur ut amoveatur” molto applicato nel nostro Paese, quella promozione arrivò dopo che Cordova aveva inviato un rapporto ai suoi superiori con i nomi di una quarantina di giudici e di un numero imprecisato di parlamentari in sospetto di contiguità con le associazioni malavitose.
Chi scrive si rivede ancora con un sorriso amaro sulla bocca mentre guarda il militare armato di un fucile automatico nella garitta blindata collocata sotto il condominio dove abita anche la mamma del Procuratore Cordova: una presenza inutile quella del militare perché, come vedremo, il magistrato-mastino non sarà “eliminato” con un attentato ma con altri mezzi. Il suo sputtanare tutti senza riguardo, infatti, sarà contestato dai Sostituti Procuratori napoletani, mentre il CSM nella circostanza non assunse una posizione netta e tutto finì in politica, tra la Destra che si schierò con il magistrato e la Sinistra, invece, che si schierò contro.
Alla fine, com’era prevedibile, Cordova fu allontanato da Napoli per incompatibilità ambientale e anche cacciato dal CSM. Tutto questo per ricordare che la classe politica e le istituzioni devono trovare dentro di sé il rimedio a certe anomalie della società e non sperare nel taumaturgico intervento dell’Esercito che, per quanto riguarda l’ordine pubblico di una città, sia essa Roma, Milano oppure Varese, è semplicemente inutile.
Il perché è presto detto: un militare è tanto più bravo ed efficace quanto più rapidamente, e violentemente, riesce a neutralizzare il nemico, quale che sia. Qualsiasi altra definizione di “militare” è ipocrita e traviante. Certo, un militare può fare anche il crocerossino, può anche intervenire in caso di calamità naturali, può anche sostituirsi agli spalatori di neve ma non è quello il suo mestiere, non è ciò che sa far meglio. Un militare nasce per muoversi all’insegna di regole e con degli obiettivi fissati dal Parlamento, poi sarà lui a scegliere il terreno e le modalità della lotta. Nel caso di un militare inviato in ordine pubblico qual è, invece, l’obiettivo e quali le regole d’ingaggio? È presto detto: le regole sono quelle in capo ai comuni cittadini alla presenza di un reato e l’obiettivo ha un nome tondo, tondo: demagogia.
Sì, perché ve l’immaginate dei militari che a Varese si comportassero “da militari”, cioè duramente, con degli extracomunitari intolleranti e violenti? Apriti cielo! Cortei dei no-global, marce di protesta della sinistra estrema, interventi di politici in astenia di presenza sui giornali, interrogazioni al ministro degli interni, al capo del governo è la richiesta a Mattarella d’intervenire, nella sua veste di Comandante Supremo delle Forze Armate, contro la “brutalità di militari violenti e razzisti”.
Stando verosimilmente così le cose, qualche politico dovrebbe, una volta tanto con sincerità, spiegare ai suoi amministrati (giacché saranno essi che alla fine ne pagheranno i costi) in che modo l’intervento dei militari sarà risolutore dei problemi di ordine pubblico nella loro città, quella stessa che lui magari amministra da anni non proprio con molto costrutto. Per chi non lo avesse ancora capito, ai militari è assegnato soltanto il compito di far da foglia di fico a vecchie e nuove inefficienze, mostrando gli attributi per conto terzi.
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