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Attualità

LA GUERRA DELLE DUE LEGHE

GIANFRANCO FABI - 10/07/2015

Bossi e Bignasca

Bossi e Bignasca

La storia racconta che la Lega, quella che abbiamo conosciuto per anni come Lega Nord, sia nata nel 1979 da un incontro tra Umberto Bossi, allora studente in medicina senza particolare passione per le arti sanitarie, e Bruno Salvadori, allora leader del partito autonomista Union Valdotaine. Si parla subito di un progetto comune sulle basi dell’esperienza autonomista della Val d’Aosta, e la morte pochi mesi dopo di Salvatori, convince Bossi a raccoglierne l’eredità con il preciso intento di combattere lo Stato centralista ed assistenzialista: nasce così un nuovo partito, la “Lega Autonomista Lombarda”. Il simbolo e il nome si ispirano, alla storica “Lega Lombarda”. Il logo è infatti costituito dal profilo stilizzato della Lombardia sovrastato da Alberto da Giussano con la spada sguainata verso il cielo e lo scudo, così come rappresentato dal monumento di Legnano. Negli anni ’80 il partito inizia a svilupparsi nel territorio, nel 1985 il primo seggio alle elezioni amministrative di Varese e Gallarate, nel 1987 la Lega entra in Parlamento con Umberto Bossi al Senato (da cui la qualifica che non perderà più di “senatur”) e Giuseppe Leoni alla Camera. Da allora è stata una crescita continua, pur tra alti e bassi, conquistando importanti posizioni politiche a livello locale, regionale e nazionale.

Nel 1991 poco al di là della frontiera, nella tranquilla Lugano, uno dei più importanti (e ricchi) imprenditori edili del Canton Ticino, Giuliano Bignasca, fiuta il vento politico e la popolarità di alcune rivendicazioni della Lega, soprattutto la critica allo statalismo e all’eccessiva pressione fiscale. Decide quindi di fondare la “Lega dei ticinesi” con un programma che in molti tratti riprende i temi italiani, tranne tuttavia quello fondamentale: il federalismo. La Svizzera è già una Confederazione, i Cantoni sono talmente autonomi che si chiamano Repubbliche, e battersi per il federalismo sarebbe come propagandare il calcio in Brasile. Ma quello che unisce i programmi delle due Leghe è soprattutto l’antipolitica, la critica dura verso i poteri centralistici (anche se Bossi lotta contro Roma e Bignasca contro Bellinzona), oltre che un modo di polemizzare spesso oltre il limite della volgarità.

Tra le due Leghe ci sono stati alcuni contatti formali, alcune ipotesi di alleanze, ma non si è mai andati al di là di qualche stretta di mano e di qualche sorriso forzato. Quella lombarda e quella ticinese sono due realtà politiche profondamente diverse e da entrambi i fronti era facile comprendere che, al di là del nome che Bignasca aveva tranquillamente copiato, non poteva esserci elementi di particolare consonanza.

Per anni quindi ognuno è andato per la propria strada. La Lega dei ticinesi è diventata nelle ultime elezioni il primo partito del Cantone, ha due consiglieri di Stato (su cinque), ed è un leghista l’attuale sindaco di Lugano, Marco Borradori: un politico pragmatico ed efficiente. Si è creata una struttura politica forte che ha saputo resistere anche alla morte del fondatore e animatore (nonché finanziatore) Giuliano Bignasca.

Ora tuttavia le due strade non sono più parallele, ma si sono apertamente scontrate. La Lega dei ticinesi infatti ha spostato la propria attenzione negli ultimi mesi ai temi dell’immigrazione e di riflesso a quello dei frontalieri, accusati di rubare il lavoro agli svizzeri, di fare concorrenza accettando bassi salari e non ultimo di affollare le strade e di provocare ingorghi al traffico. I consiglieri di Stato di fede leghista hanno così introdotto norme punitive, come la limitazione dei posteggi o l’obbligo di presentare regolarmente il certificato penale.

Sul fronte italiano la Lega prima è stata a guardare, poi ha capito che non poteva non scendere il campo per difendere quei cinquantamila lombardi, soprattutto varesini e comaschi, che attraversano ogni giorno la frontiera per lavorare. Il presidente lombardo, Roberto Maroni, è arrivato fino alla provocazione di promettere di pagare un mese di stipendio ai frontalieri per farli stare a casa e far comprendere ai ticinesi che senza di loro l’economia, l’industria e gli ospedali del Cantone non potrebbero più funzionare. Una provocazione ovviamente, ma significativa del clima da lunghi coltelli che si respira ormai tra le due Leghe, mai così distanti sulla politica concreta, anche se ancora unite dal facile populismo antistato e antieuropeo.

Di unitario tra le due Leghe c’è quello c’era all’inizio: solo il nome.

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