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Attualità

GRECIA/3 UN SUPPLEMENTO D’ANIMA

EDOARDO ZIN - 10/07/2015

europaSono europeo perché sono italiano e sono sempre stato un inguaribile ottimista sulle conseguenze delle crisi di cui è costellata la storia dell’integrazione europea. Non temo le crisi, anzi le amo perché da esse sono sempre rinate nuove, grandi scelte.

“Crisi” deriva dal greco (una delle variegate lingue da cui è nata la civiltà europea!) e significa giudizio, vaglio, scelta. Ben venga, dunque, una crisi che passa al vaglio l’attuale condizione dell’Europa, la metta alla prova nel ricercare nuove strade, passi tutto al setaccio per conservare ciò che è buono e getti nel fuoco gli sterpi avvizziti.

Più delle crisi temo il vuoto di idee, la mancanza di riflessione, di critica ragionata, di ricerca, il proliferare di slogan, l’annuncio di fatti, ma non la loro spiegazione. Ho sentito un ex-presidente del Consiglio confondere la corte di Giustizia di Lussemburgo con quella dei diritti di Strasburgo, un deputato rimescolare il consiglio europeo con il Consiglio d’Europa e poi tante, tante ciarle pronunciate a vanvera (“Fuori dall’euro!” – “L’Europa ci ha ridotti alla canna del gas!” – “L’euro arricchisce le banche!”…) senza dare una spiegazione.

Tutti sono diventati luminari di economia: la casalinga che incontro la mattina sull’autobus, il ragazzo che mi porge la quotidiana tazzina di caffè che imputa all’euro l’aumento della TARI del suo bar, l’amico che incrocio e che lancia strali contro chi gli ha forzosamente rubato del danaro dal suo conto corrente per introdurre l’euro…

Temo questa mancanza di senso critico, questa disponibilità ad ascoltare invettive e le relative risposte, questo ragionare che non desidera acquisire per sé e per chi ci sta a cuore i motivi per risolvere problemi e creare così condizioni migliori di vita.

Temo la mancata coscienza che interroga se stesso, le cose, gli eventi, pungolata sì dal dubbio, dalle critiche, ma incapace di voler trovare risposte e, quindi, precipitare nelle scetticismo, che – come scriveva settanta anni fa Jacques Maritain – “sarà il becchino dell’Europa”.

Temo chi ha obliato il senso tragico della storia europea che vivemmo da ragazzi e che insipienti docenti e testi scolastici asserviti alle ideologie non spiegano, contribuendo così’ ad aumentare l’amnesia, il grande pericolo per l’uomo d’oggi.

Temo chi, da una parte, non è disposto a ragionare per idee e concetti (il logos dei greci!) e, dall’altra parte, chi non è disponibile alla comprensione e alla mediazione.

La zuffa tra Grecia e paesi creditori, prima di essere finanziaria, monetaria e economica, è tutta politica (dal greco polis = città): in essa si scontrano due visioni d’Europa (terza parola greca!) e il modo con cui in essa si esercita la democrazia (quarta parola con radice greca!). Bisogna ammetterlo: tutti hanno sbagliato in questa contesa che ha impaniato l’Europa in recriminazioni, l’ha vista titubante e deludente.

Il metodo pragmatico-funzionalista di Jean Monnet, che suggerì a Robert Schumann l’idea della prima comunità europea, prevedeva di realizzare scopi politici attraverso l’armonizzazione delle politiche economiche nazionali. Fu un primo passo, ma, oggi, dopo la grave crisi finanziaria mondiale del 2008 e le conseguenti politiche d’austerità e di rigore instauratesi, constatiamo che l’idea – l’unità europea – è entrata nella casa comune per la porta di servizio e i cittadini europei non se ne sono accorti.

Hanno, viceversa, vissuto sulla loro pelle la disoccupazione, l’esasperata conflittualità sociale, la violenza estremista innestata dai populismi, le riforme, cioè tagli alle prestazioni pubbliche e perfino una proclamata erezione di un muro, luogo dell’ostilità, dello steccato, della sanzione verso lo straniero.

Preoccupa inoltre l’egemonia di un paese e dei suoi satelliti: in un’unione non ci può essere predominio, ma solo condivisione, perché esso porterà, presto o tardi, fiacchezza in tutti. Adenauer, De Gasperi, Schumann e, più recentemente, Brandt, Kohl, Delors, Prodi erano avulsi dalle rispettive tradizioni nazionali e dissimili dai loro attuali successori: avevano un alto senso della politica che li portava a mediare tenendo sempre presente il bene prezioso dell’unità.

Ultimamente, gli stati nazionali, fin dall’inizio della crisi del 2008, l’hanno gestita in modo disgiunto e talvolta contrapposto. Inoltre, il frettoloso allargamento a est, dovuto al rapidissimo cambiamento geo-politico, che poteva essere governato con maggiore pacatezza, ha espanso ad essi un oggetto – l’unità europea – che non c’è. I trattati hanno delegittimato i poteri nazionali, ma non hanno affatto prodotto una maggiore partecipazione democratica in Europa. La diseguaglianza tra paesi economicamente forti ha portato i paesi deboli allo scarto e poi alla frattura destinata a lasciare il segno anche quando, come spero, sarà riassorbita.

Gli Stati ad economia forte sono riusciti a operare, come la Germania, l’assestamento in tempo relativamente breve, facendo riforme, mentre l’impresa non è riuscita a paesi ad economia debole. Tranne l’Irlanda, che in pochi anni è riuscita a risalire dal baratro in cui era caduta, l’intreccio solidarietà – disciplina economica nazionale è stato raccorciato con l’espediente dei prestiti…

Non sono state meno nocive per il senso d’appartenenza a un’unione l’eccessiva omologazione (da non confondersi con l’armonizzazione!) e il dirigismo quasi sovrano dell’onnipotenza burocratico-gerarchica che ha provocato la rivolta contro i tecnocrati non eletti dai cittadini.

Tsipras si è presentato ai greci come il nuovo Prometeo che cerca di colmare i suoi cittadini rimasti senza risorse, affamati, inermi di tutti i beni di cui hanno giustamente bisogno. Il novello Prometeo avrebbe fatto bene nel ricordare ai suoi cittadini che all’interno del loro paese ci sono loro simili incapaci di creare solidali relazioni con gli altri non pagando le tasse (solo sei cittadini su circa undici milioni di contribuenti hanno denunciato più di un milione di euro al fisco!), che al momento dell’ingresso della Grecia nella Comunità, i bilanci furono truccati e che i suoi predecessori compirono la nefandezza di aumentare il 30% degli emolumenti dei dipendenti pubblici prima di ogni consultazione elettorale. Là, dove abbondava una ricchezza sfrenata (e ciò vale anche per il nostro Paese!), si è insinuata la corruzione.

A questo punto il nuovo Prometeo poteva salvare il suo popolo tirando fuori dal vaso di Pandora sforzi sovrumani, senso di responsabilità, sobrietà di vita. Ha preferito chiamarlo a raccolta per rafforzare il suo governo. Occorre ora che estirpi questi démoni e inizi un nuovo corso con sentimenti di giustizia coniugati assieme al rispetto delle regole comuni. Senza di esse la “polis” non può sussistere!

Dall’altro canto, l’egemonia della Francia in Europa ci richiama Faust, il cui destino ci è stato tramandato da Goethe. Faust ci fa riflettere sul male come aiuto, seppur volontario, del bene. Faust non va all’inferno, anche se ha venduto l’anima a Mefistofele: la sua fede nella vita l’ha portato a lavorare per il bene dell’umanità.

La Germania, che nel 2003 era al collasso, fu salvata, assieme alla Francia, dall’Italia dalla sanzione per eccesso di disavanzo che la Commissione avrebbe dovuto imporle, ma essa al contrario si è sempre dimostrata ostile alla trasformazione dell’unione monetaria in unione bancaria, impedendo così ai Paesi che avevano bisogno di trasferire le risorse necessarie per evitare il fallimento.

Come Faust si redime grazie all’amore e al servizio verso il prossimo, così la Germania deve ritrovare la strada della solidarietà rammentandosi anche il perdono ricevuto e riscoprendo quei valori spirituali che vincono su quelli economici. Essa è chiamata a salvare non solo l’economia dell’Unione, ma soprattutto gli uomini tormentati, avviliti e umiliati da richieste troppo soverchie.

Non l’uomo economico, egoista e razionale, in bilico tra i propri interessi e quelli esigiti dai suoi simili, né l’uomo politico, cicisbeo del potere, né l’uomo sociologico integrato in un sistema ultra liberistico, ma l’uomo solidale occorrerà ricostruire: quello che va oltre se stesso e che vede nell’avvenire degli altri un bene non meno importante del suo.

Solo una conversione, un supplemento d’anima consentiranno di compiere un ulteriore passo verso l’unità politica dell’Europa. Ciò sarà possibile solo se tutti saremo consapevoli che ci unisce un medesimo destino che va vissuto nella fiducia reciproca, nella comprensione, nella democrazia. Senza unità politica, l’Europa resterà lettera morta.

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