Alla memoria degli studenti liceali non è difficile ricorra,sia pure per sommi capi, il contrasto che oppose Parmenide, il fondatore della scuola eleatica (n. verso il 515 a.C.) e l’erede della scuola ionica Eraclito di Efeso (540-480/475 a.C.), entrambi autori di un Poema sulla natura pervenuto solo per frammenti. Il primo sosteneva l’assoluta esistenza dell’essere, per cui l’ente è ingenerato e indistruttibile, intero, continuo nello spazio e nel tempo, inalterabile, di un sol genere, immobile; la sua durata si comprime in un puro presente, la forma è simile alla massa di una sfera ben rotonda; se l’esperienza ci mette di fronte alla molteplicità, variabilità, temporaneità degli esseri, bisogna riconoscere che essa costituisce per l’uomo una via di conoscenza fallace e illusoria.
Eraclito di Efeso invece nei tre libri perì physeos (sulla natura delle cose), in prosa e non in esametri come nel caso di Parmenide, riguardanti l’universo, la politica e la religione, era d’avviso che la realtà è in continuo divenire e si alimenta della lotta dei contrari; il movimento da contrario a contrario crea l’armonia; “la natura agogna i contrari e da questi e non dai simili trae l’accordo; la guerra è condizione degli esseri di natura, ma anche degli umani; il conflitto (polemos), il contrasto è padre di tutte le cose. La trasformazione è segno della profonda razionalità dell’universo. Tutto scorre (panta rei) e nulla permane. “Non si può discendere due volte nel medesimo fiume”, non possono esistere realtà immote, sono eliminate la quiete e la stasi. Se i sensi non riescono a farci superare l’inconciliabilità degli opposti, bisogna giungere alla ragione che ci fa cogliere l’unità nella molteplicità, l’armonia nelle contraddizioni. Occhi e orecchi valgono come testimoni solo per uomini che hanno anima barbara. La legge della circolarità cosmica è fissata dal fuoco, fonte primaria di calore, l’eternamente vivo, che secondo misura si accende e secondo misura si spegne.
Il fuoco è arché, perché ne nascono tutte le cose e vi finiscono, è aitia (causa di vita in quanto calore), è logos, perché reggente e custode dei cicli dell’anno in quanto Sole, delimita, stabilisce, determina e rivela le mutazioni (è massa di fuoco fornita di intelligenza). Ed è al vertice della cosmologia, perché” il fuoco vive la morte della terra, l’aria vive la morte del fuoco, l’acqua vive la morte dell’aria,la terra quella dell’acqua”, in una relazione vita-morte di circolarità. L’azione della fiamma è di scaldare, ma anche di illuminare, sia nel senso fisico, che in quello intellettuale, e pure in quello morale. Il fuoco fonda tanto la fisica (materializzazione della legge universale dei contrari) che la conoscenza.
Non tutti i frammenti dell’opera che nominano Dio e il divino sono da mettere in conto alla filosofia, in quanto alcuni si richiamano a un principio di fede piuttosto che di ragione (profezie, credenza nella vita oltre la morte alla luce della religione orfica _ la morte fisica è l’inizio della vita psichica). Rimane incerto, a seconda dei vari frammenti, se per Eraclito il divino si debba personificare in Zeus, oppure debba corrispondere impersonalmente all’ordine razionale dell’universo (interpretazione allegorica- razionalistica degli dei della fede a immagine delle forze cosmiche).Eraclito comunque, pur non condannando del tutto la pratica della purificazione, la considera solo come un livello propedeutico alla vera liberazione dell’anima, che consiste nell’ascoltare la ragione. L’anima è di natura ignea e cogliendo un’intelligenza cosmica, impone all’azione una forma di sapienza: allora il logos che è nel mondo si congiunge con quello dell’anima fondendosi. L’uomo non deve sottostare alle passioni. L’agonia dell’anima si rivela nel piacere, sentimento che esprime la lontananza dal fuoco. Qui l’istanza antiedonistica. La filosofia asciuga l’anima, mentre il compito della sapienza è di darle fuoco.
Nato ad Efeso, colonia ateniese, da nobile famiglia ( da padre a figlio si tramandava da tempo la dignità sacerdotale di basileus), altero oltre ogni dire, Eraclito disprezzò al contempo il governo della città e la maggioranza degli uomini. Ebbe parole molto dure per Pitagora, ma anche verso Omero. Approssimandosi alla morte si ritirò nel tempio di Artemide e le fece dono votivo del suo libro, sottraendolo al giudizio dell’immeritevole moltitudine. Si rifiutò di redigere la nuova Costituzione per Efeso, non manifestò alcun entusiasmo per la democrazia (i molti sono scadenti, pochi invece valgono), rifuggì da qualsiasi ambizione, generatrice di invidia e desiderio di ricchezza. Visse sostanzialmente da emarginato.
Il suo stile, come emerge dai frammenti, è affilato ed ostico. Fin dall’antichità affiancato al suo nome è rimasto l’aggettivo oscuro per lo scarno ed enigmatico contenuto di molti spunti. Memorabile la sentenza: “Per quanto tu possa camminare e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo Logos”.
Gli stoici hanno avuto in comune con Eraclito l’individuazione di un Logos universale e di un ordine divino nel mondo, ma si sono orientati verso gli aspetti consolatori della filosofia, sui suoi effetti terapeutici sui mali dell’anima, limitandosi Eraclito a cercare l’origine e la legge della natura. Filone ha riconosciuto il ruolo del Logos nell’interpretazione della Bibbia. Hegel gli ha attribuito il merito di avere sostituito i principi immobili dei primi naturalisti e degli eleati con un principio dialettico oggettivo, capace di spiegare il divenire naturale.
You must be logged in to post a comment Login