Altro che parcheggi, in via del Santuario sarebbe bello rivedere i vigneti che un tempo decoravano il Sacro Monte. Quali vigneti? Quelli che salivano fino alla Settima cappella, come mostra la stampa che Federico Agnelli incise a Milano nel 1656 su commissione dei fabbricieri del Sacro Monte in onore di Alfonso Litta, arcivescovo di Milano. La stampa ha un’enorme importanza. Identifica l’abitato di Santa Maria del Monte casa per casa, chiesa per chiesa, documenta la prima conformazione del monastero di clausura e fornisce una quantità d’informazioni sulla vita, il lavoro, gli orti e le colture del Sacro Monte a metà del XVII secolo. La cantina e il torchio per le operazioni della vendemmia si trovavano alla Cassina Moroni con le attrezzature agricole dei massari delle suore.
Alberto Senaldi di Slow Food ne ha parlato alla “1a Rassegna dei Vini Varesini – Storia e attualità” che si è svolta nella Villa Porro Pirelli a Induno Olona con il patrocinio della Provincia. Senaldi ha spiegato che l’associazione internazionale no profit fondata nel 1986 da “Carlin” Petrini (allora si chiamava Arcigola) sta cercando di far conoscere ciò che Varese offre: “Il nostro petrolio è il paesaggio, sono la natura e le produzioni agricole da rilanciare – argomenta con passione –; stiamo lavorando sul vino e non solo, puntiamo sui formaggi e i salumi, sulla riscoperta delle sementi antiche e sui cereali, facciamo educazione nelle scuole e vogliamo rilanciare un piccolo settore vitale e produttivo”.
A Induno è stato un evento straordinario. Convocati dall’assessore alla cultura Stefano Redaelli, si sono riuniti per la prima volta i sei principali produttori varesini, sei cantine vitivinicole che operano su dieci-quindici ettari di terreno (compresi gli amatoriali e i terreni sotto i mille metri per autoconsumo) con una produzione di 50 mila bottiglie l’anno e un fatturato di circa trecentomila euro: non era mai successo, neppure quando la rinascente vitivinicoltura locale ottenne la Igt Ronchi Varesini nel lontano 2005. Alla rassegna era presente la sezione varesina di Slow Food al completo, guidata da Claudio Moroni con i delegati Senaldi e Fabio Ponti, la stessa che pochi giorni prima aveva portato le specialità agrolimentari varesine all’Expo (vino, formaggella del Luinese, formaggio appena munto, salame prealpino ecc.).
Ma com’è questo vino di Varese? Le degustazioni costavano dieci euro e i biglietti sono andati a ruba. Non era proprio come la presentazione della nuova annata del Brunello a Montalcino o dei celebri uvaggi nei Chateau bordolesi ma per Varese è stato qualcosa di mai visto, sei aziende presenti, la principale uva utilizzata è il Merlot, come già consigliavano gli agronomi ai tempi del Duce: pregevole, per esempio, il Pascale della Cascina Ronchetto di Morazzone che, a dispetto del nome, non è un rosso napoletano ma un Merlot in purezza di Morazzone; e non solo vitigni francesi, c’è anche l’italianissimo Nebbiolo che in Piemonte diventa Barolo e Barbaresco e in Valtellina si chiama Chiavennasca: come il robusto Prime Nebbie della Cascina Piano di Angera, che ha vinto premi con altri vini della casa.
“Una volta la provincia era tutta un vigneto – sottolinea Fabio Ponti –. Poi la filossera ha distrutto le vigne ed è nato il fenomeno delle cantine sociali che “importavano” vino dal sud Italia. La produzione professionale è ripartita nel 2002, seguita dalla Igt nel 2005”. I pro e i contro dei nostri vini? “I punti di forza sono la vocazione turistica e la varietà delle uve che consente di fare sperimentazione – spiega Micaela Stipa, enologa di Induno Olona che ha svolto la tesi sui vini di Varese –. I punti di debolezza sono il marketing e la diffidenza del consumatore”.
Sulla buona strada sono tutte le nostre cantine: Cascina Filip di Travedona Monate, Cascina Piano di Angera, Cascina Ronchetto di Morazzone, società agricola Valle Luna di Varese, Tenuta Tovaglieri di Golasecca, Vitivinicola Laghi d’Insubria di Albizzate. Bene anche la Cantina Cavallini di Cabbio, azienda ticinese.
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