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In Confidenza

DUE TIPI DI MERAVIGLIE

Don ERMINIO VILLA - 26/06/2015

voltodicristoNel suo celebre libro “Non c’è futuro senza perdono”, Desmond Tutu, premio Nobel per la pace (1984), scriveva: “Concedendo il perdono, affermiamo la nostra fiducia nel futuro di una relazione, nella possibilità che la persona che ci ha offeso sia in grado di interpretare un nuovo corso. In breve affermiamo la nostra fede nella possibilità del cambiamento”.

Un’esperienza condivisibile sotto ogni punto di vista: sociologico, culturale, giuridico e soprattutto umano. Eppure queste parole sembrano lontane anni luce dal sentire comune e sono quasi improponibili, oggi.

Quanti crimini barbarici vengono denunciati, la follia omicida quante persone fa soffrire, direttamente o indirettamente, e quante sono le vite innocenti spezzate tragicamente!

Ma se non invochiamo e non doniamo perdono, dove andremo a finire con l’odio? Se invece perdoni, ti si apre davanti un altro mondo. È un ragionamento spiazzante, difficile, provocatorio – ma necessario – per questi nostri tempi fatti di disillusione e di cinico realismo.

Ma perdonare non si identifica con dimenticare. Al contrario è importante ricordare, per fare in modo che gli errori non si ripetano. Perdonare non significa condonare ciò che si è fatto, né tanto meno è espressione di debolezza, ma neppure di forza o di superiorità.

Il perdono è piuttosto azione inscritta nel Dna del cristiano, e ha a che fare con l’amare il prossimo come se stesso, riconoscendo nell’altro splendori e miserie dell’essere umano, compiendo un gesto che invece riconcilia con la natura più vera dell’uomo.

Perdonare è anche farsi carico, con amore e compassione, degli errori altrui, rispondendo con il bene ad una scelta o un’azione che invece porta alla ribalta il male presente in ogni essere umano e che – sembra un paradosso – agisce in modo gratuito, esattamente come il bene.

Osservava don Giovanni Moioli: “C’è un senso di meraviglia da ricuperare di fronte alla morte crocifissa di Gesù. Ma è sempre a doppio esito. C’è chi vuol capire, e si lascia educare a capire. Nel libro di Isaia, dove si parla del Servo di Yahwè, il coro domanda: “Chi mai avrebbe creduto? Noi l’avremmo considerato come un malfattore e invece…”. E c’è la meraviglia che non nasce dall’intelligenza, cioè dalla volontà dell’uomo di capire, piegarsi e incontrare la verità o comunque ciò che gli si manifesta: ma è la meraviglia della ragione, che conduce a misurare questa cosa secondo il metro che sono io. Questa meraviglia conduce all’incredulità e al rifiuto, mentre la prima conduce all’ammirazione, si lascia educare dall’avvenimento, si lascia piegare. Di fronte alla morte di Gesù non “in qualunque modo” ma alla morte scelta, la morte di croce, possiamo allora fare la storia di questa complessa meraviglia che ha due possibili esiti. Il primo esito possibile è quello dell’intelligenza che si lascia educare a capire e quindi alla fine crede e dice: non avrei mai pensato questa cosa. Il secondo è la meraviglia che dice: devo misurare io le cose come sono e, misurandole, prendendo me come metro della cosa, dico: o questa cosa sta nel mio metro o non ci sta, e alla fine la rifiuta” (Da ‘La Parola della Croce’).

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