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Politica

METAMORFOSI LEGHISTA

GIUSEPPE ADAMOLI - 26/06/2015

salviniChe Matteo Salvini al raduno di Pontida di domenica scorsa affermi che si ispira a San Francesco ma poi critichi Papa Francesco per il suo messaggio di umanità e di solidarietà non è in fondo una gran novità nella storia leghista. Rientra nel folclore (?) del dio Po, del Monviso, delle baionette bergamasche pronte all’insurrezione della Padania.

Questa peculiarità del “folclore”, che però non bisognerebbe più intendere e chiamare in questo modo, è la continuità di Salvini con Bossi insieme ad una generica xenofobia molto più forte adesso che venticinque anni fa. Era il partito del Nord, del federalismo, perfino della secessione, che amava definirsi né di destra, né di sinistra. Oggi ha assunto un carattere di destra nazionalista alla Marine Le Pen. Se n’è avuta una visione plastica nella figura di comparsa fatta da Roberto Maroni a Pontida mentre una volta il presidente leghista della più importante Regione italiana sarebbe stato la star indiscussa.

La Lega sta compiendo una mutazione davvero genetica che sarebbe credibile se basata su una vera rivoluzione culturale. Ma questa qualità la posseggono le elaborazioni assolutamente originali, profonde, cariche di futuro e perciò capaci di imporsi per la forza delle proprie idee. Prendiamo alcuni punti rilevanti del nuovo corso leghista. 1) Forza nazionale e non più territoriale, 2) Abbandono dell’euro in Italia, 3) Flat tax al 15%.

Sul primo punto, sarebbe bello se si mandasse in soffitta il concetto della nazione lombarda, veneta, piemontese a favore di un’unica appartenenza semplicemente italiana. È però necessario riflettere seriamente su cosa vuol dire. Bossi nella sua prima fase di governo esaltava i localismi politici ed economici ma li voleva unificare attraverso il progetto federalista delle grandi Regioni. Se lasciamo stare la boutade della secessione a cui non credeva nemmeno lui, il federalismo (mai veramente realizzato da nessun governo) era potenzialmente rafforzativo dell’unità nazionale come verificatosi dovunque sia stato compiutamente attuato. Salvini mostra invece di voler sposare il suo neo nazionalismo con un forte localismo meridionale che pensa solo ad essere “padrone a casa propria” e che è incurante degli interessi territoriali più ampi. Tutto questo potrebbe risultare un gravissimo errore.

La spiegazione di ciò che significa uscire dall’euro è lasciata a qualche solitario e ardimentoso economista. “Vogliamo stare dalla parte dei produttori contro i parassiti”, tuona Salvini, ma l’uscita dall’euro rappresenta esattamente il contrario. È risibile l’immagine dell’Europa (pur con tutte le sue debolezze) come “l’Unione Sovietica criminale che vuole ammazzare le diversità e le identità”.

Per le tasse si ipotizza un’unica aliquota al 15% il cui costo sarebbe di almeno 40 (quaranta) miliardi di euro secondo le stime più prudenti degli stessi proponenti. Dove si troverebbe questa montagna di denaro, da quale revisione della spesa? Che significato conserverebbe la progressività delle imposte voluta dalla Costituzione, il principio che chi ha di più, deve pagare di più?

Domande del tutto inevase. Salvini dica pure che la Lega vuole conquistare la maggioranza. Fa il suo mestiere. Ma l’arma della barriera anti immigrati molto popolare a tutte le latitudini non basterà. Le pagine da scrivere per diventare partito di governo sono ancora totalmente bianche.

 

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