S’è celebrata anche da noi, una settimana fa, la Giornata mondiale del rifugiato, indetta nel 2001 dalle Nazioni Unite nel 50° anniversario dall’approvazione della Convenzione sui profughi (Convention Relating to the Status of Refugees) da parte dell’Assemblea generale. Nel convegno provinciale Pd a Venegono Inferiore “Persone in fuga: la sfida dell’accoglienza e dell’integrazione”, accanto a preziose relazioni e testimonianze sulla gravità del problema in Italia, sui drammi delle migrazioni e sull’importanza umana e civile dell’ospitalità, sono stati presentati i dati statistici più recenti e significativi sulla situazione dei migranti nella provincia di Varese, nel quadro più generale dei migranti in Italia e nel mondo.
Lasciando alle polemiche politico-mediatiche il dibattito su come, quanto e quando accogliere i migranti, colpisce la sproporzione tra realtà dei fatti e percezione dell’opinione pubblica, nel cui ventre esplodono ancestrali paure del “diverso” su cui soffiano troppo spesso politicanti interessati. E senza che nemmeno ci si curi di distinguere tra profughi – che fuggono dalle guerre o dalle persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche – e migranti economici, che fuggono dalla fame e dal buio di società miserabili, oppressive, senza speranza.
Secondo l’Onu, nel 2013 circa il 3,2% della popolazione mondiale – 7.162.119.434 di persone – è fatta di immigrati, spostatisi dal paese d’origine verso lidi migliori: 231.522.215 persone immigrate sembrano un’infinità, quattro volte gli italiani, ma la spinta del divario socioeconomico tra zone ricche e zone povere del mondo è inarrestabile, al ritmo medio del 2,5%, pari a 4.385.114 all’anno a partire dal 2000. Un fenomeno planetario, che tocca l’Europa per il 31% del totale – pari a 72.449.908 persone immigrate, il 14% dei 500.670.729 abitanti europei – al ritmo medio di 1.249.268 immigrati all’anno dal 2000.
L’Europa è toccata in misura superiore agli altri continenti, perché non si sfugge alla storia e alla geografia. Alla storia, perché gli immigrati provengono in gran parte dalle ex colonie dei paesi europei, che in età moderna e sino al primo dopoguerra hanno dominato e sfruttato Africa e Medio Oriente, e che hanno continuato a farlo economicamente con le proprie imprese multinazionali. Alla geografia, perché le rotte di viaggio finiscono inevitabilmente per gravitare sui più vicini tra i paesi ricchi.
Dentro il calderone di rimescolamento mondiale di popoli, razze, culture, il fenomeno dei profughi è certamente minoritario, ma consistente: 15.659.622 rifugiati nel 2013 nel mondo, il 7% degli immigrati. Ben più esiguo il radicamento in Europa, dove sono ospitate 1.534.415 persone in fuga da guerre e persecuzioni, il 2,1% degli immigrati totali. Ma negli ultimi anni il peso dei rifugiati non ha fatto che crescere, sino a 435.190 richieste d’asilo nel 2013, il 35% degli immigrati. Un livello quintuplo che nel resto del mondo, a causa di storia e geografia che prima o poi si ritorcono contro chi ha seminato tempesta, col dominio coloniale-neocoloniale e i mercanti di cannoni, e non può non raccogliere almeno il vento del flusso impetuoso di profughi e migranti.
In Italia il peso dei circa 4.400.000 immigrati rispetto ai quasi 60 milioni di abitanti, nonostante un allarme sociale altissimo, è nel 2013 intorno alla media europea del 7%, ed anzi la quota di stranieri è inferiore non solo alla Germania (9%) e all’Austria (12%), ma anche alla Spagna (10%) e alla Grecia (8%). Allarme spropositato, quindi, soprattutto nelle zone ricche come la Lombardia, dove gli immigrati sono bensì il 23% del totale italiano, ma rispetto agli abitanti toccano l’11,7%, come l’Umbria e meno del 12,6% dell’Emilia Romagna, poco più dell’11,1% del Veneto e del 10,5% della Toscana.
Tra le province lombarde, Bergamo con il 13,1% supera il 12,9% di Varese, che sopravanza l’11,7% di Milano. Dati tutti che evidenziano la distribuzione dei migranti in relazione alle opportunità economiche e al fabbisogno produttivo, in contrasto con le percezioni di aggressione percepite dagli italiani, “il popolo più ignorante del mondo” secondo l’autorevole ricerca inglese Ipsos Mori, nel senso che ignorano totalmente la realtà: non solo rispetto agli stranieri, che pensano siano ormai il 30% della popolazione (e fin troppo mussulmani: 20% percepito contro 4% reale), arrivati tutti sui barconi anziché al 73% in aeroporto col visto turistico; ma anche rispetto all’invecchiamento, dato che credono di essere circondati dal 48% di vecchi-zombie anziché dal 23% di over 65 per lo più arzilli, e temono per l’incombenza della morte nonostante la più alta speranza di vita d’Occidente. Visioni da incubo, che riflettono il basso livello d’istruzione generale denunciato dall’OCSE, e la cinica pressione manipolatoria dei mass-media e dei partiti di destra sugli “animal istincts” popolari.
Nella provincia di Varese gli abitanti stranieri sono circa 81.000 compresi gli irregolari, che non superano il 7% del totale. Di pari numero tra uomini e donne, sono assai più giovani degli italiani. Per il 41% provengono dall’Europa dell’Est, per il 27% dall’Africa, il 18% dall’Asia e il 14% dall’America Latina. Il 48% sono di religione mussulmana, ma per metà albanesi e quindi in versione totalmente secolarizzata. Albanesi (14.000), marocchini (11.000) e rumeni (10.000) le nazionalità prevalenti.
Il livello d’istruzione è mediamente più alto di quello dei varesotti doc: laureati al 20%, diplomati al 45% e solo al 35% fermi alla scuola media gli stranieri, mentre i loro concittadini italiani toccano il 21% di laureati ma solo il 22% di diplomati e il 48% di scuola media. La presenza nel nostro paese è in buona parte consolidata: il 39% è residente da oltre 10 anni, altrettanti da almeno 5 anni e solo il 22% è di immigrazione recente. Benché la crisi economica abbia pesantemente inciso, solo il 12% è disoccupato e il 6% ha un lavoro precario, anche se tutti i lavori sono prevalentemente di bassa qualifica, decisamente inferiori rispetto al titolo di studio. L’intenzione di integrarsi è evidente dall’abitazione: l’80% degli immigrati vive in famiglia e alloggio privato, ed anzi 1/3 vive in casa di proprietà inseguendo il sogno italiano. Due terzi degli stranieri sono sposati e da solo non vive che il 10% degli immigrati.
Il modello familiare più strutturato, solido e confortevole, con coniuge/convivente e figli, non è alla portata di tutti i migranti, essendo dipendente dalla solidità dell’inserimento lavorativo ed abitativo: migliore della media è la condizione dei provenienti dall’America Latina (63%), dal Nord Africa (60%) e dall’Asia (58%); peggiore dall’Africa sub-sahariana (39%) e dall’Est Europa (42%), dove prevalgono le persone sole (25%), in relazione al proprio progetto di migrazione che implica il ritorno in patria.
Infine, l’integrazione sociale è in crescita in proporzione all’anzianità di presenza e quindi al progresso dello sforzo di miglioramento che i migranti stranieri operano rispetto alla propria condizione. Distinta tra i due aspetti dell’integrazione economico-lavorativa (reddito, regolarità e stabilità lavorativa, corrispondenza tra lavoro e istruzione) e quella socio-territoriale (abitazione, regolarità giuridica, stabilità residenza), l’integrazione complessiva è più alta per gli uomini rispetto alle donne. Più favorevole per gli asiatici, specie per l’aspetto economico-lavorativo, e per i latino-americani per quello socio-territoriale; mentre est-europei e africani sub-sahariani sono i meno integrati. Il titolo di studio svantaggia egualmente semi-analfabeti e laureati e avvantaggia la scolarità medio-inferiore a livello economico-lavorativo. Mentre a livello socio-territoriale vanno sempre male i semi-analfabeti, ma i laureati si inseriscono benissimo. Infine la religione: svantaggia fortemente i musulmani a livello socio-territoriale ma li avvantaggia al massimo a livello economico-lavorativo; peggio di tutti stanno però i cristiani ortodossi.
Un quadro di molte luci e tante ombre, che man mano si illuminano: ma certo non un quadro fosco come tanti, troppi temono. Tra tutti gli stranieri accolti, i profughi ospitati sul territorio varesino erano 317 a fine dello scorso anno: lo 0,4% degli immigrati, lo 0,04% dei residenti, un’inezia!
Com’è possibile solo immaginare razionalmente segnali d’allarme in questa situazione? Soccorre il motto kafkiano: c’è un solo peccato capitale, l’impazienza; per esso l’uomo è stato cacciato dal Paradiso ed è per questo che non ci torna. Se italiani, varesotti e varesini non capiscono che in quanto specie homo sapiens dobbiamo diventare homo patiens, capaci di aspettare e lavorare per il tempo dell’integrazione, non c’è scampo per la civile convivenza e per il ben-essere collettivo e individuale.
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