Il sogno europeo si è trasformato in incubo. Come è potuto accadere che il sogno dell’Europa unita è diventato un incubo? L’Europa della paura ha preso il posto dell’Europa della speranza. Dopo due sanguinose guerre mondiali alcuni illuminati statisti, sostenuti dall’opinione pubblica, pensarono di unire il vecchio continente in una nuova comunità fatta di popoli e di realizzare una nuova identità superiore a quella dei vecchi Stati nazionali le cui contrapposizioni avevano causato le lotte economiche che sfociarono nelle guerre.
Schuman, Adenauer, De Gasperi e poi Mitterand e Kohl idearono un modello di integrazione che avrebbe pacificato l’ Europa, ne avrebbe consentito la crescita e sarebbe stato d’esempio al mondo per comporre le controversie ed evitare i conflitti bellici. Perché non è avvenuto? Dove abbiamo sbagliato?
Sono stati gli interessi costituiti di tipo nazionalistico a impedire di formare un vero soggetto politico europeo. Il no della Francia, negli anni cinquanta, alla unificazione degli eserciti ha costretto l’Europa ad imboccare la via degli accordi economici, trascurando quelli istituzionali. L’errore è stato di organizzare l’Europa, sotto la pressione dei poteri economici, come un insieme di Stati e Staterelli gelosi della propria autonomia e divisi da interessi e identità diversi invece di costruire un progetto politico solido e reale, uno Stato federale vero e proprio, democratico e rispettoso delle diversità, ma con leggi eguali per tutti e una politica economica, fiscale e sociale comune. Invece hanno prevalso le logiche economiche, della finanza, del mercato non controllato, del consumismo, del modello americano che hanno portato a squilibri, ad uno spaventoso aumento delle disparità sociali, alla disoccupazione e alla scomparsa del lavoro a causa della collocazione degli impianti produttivi nei Paesi dove i costi sono minori e lo Stato Sociale (una delle fondamentali conquiste della politica europea per realizzare un contesto di vera dignità umana e che resta un primato invidiatoci da tutti) è inesistente. Questa situazione ha portato ad un sostanziale svuotamento delle istituzioni comuni; l’autonomia ad esse riconosciuta è solo formale, così non emerge la volontà dei popoli ma decidono i governi.
I Paesi “virtuosi”, non solo quelli più ricchi ma i più attenti nel tenere i conti in ordine, non vogliono più pagare i deficit dei Paesi che, come l’Italia, non si sono preoccupati di amministrare bene le risorse, anzi le hanno sperperate e ora non vogliono l’austerità necessaria a rimediare agli errori del passato. La Grecia è già con un piede fuori dall’Unione ma, nonostante gli ingenti aiuti ricevuti, non ha fatto neppure il minimo per eliminare le cause della bancarotta; l’Italia ha intrapreso alcune caute riforme solo dopo l’avvento dei governi Monti, Letta, Renzi che hanno restituito al nostro Paese la credibilità perduta ma hanno suscitato malcontento tra la popolazione. La Gran Bretagna ha preannunciato un referendum che potrebbe portarla fuori dall’Europa. I Paesi europei, dove prevalgono i movimenti xenofobi, non saranno probabilmente coinvolti da “default”, ma l’Europa deve limitarsi ad essere una comunità economica, un grande spazio per gli scambi di mercato.
La disintegrazione dei vincoli europei non migliorerebbe la situazione, anzi provocherebbe una crisi ingestibile perché in un mondo globale e interconnesso verrebbero meno molti efficaci strumenti per governare le crisi e si ritornerebbe ad una situazione analoga e peggiore a quella degli anni Trenta (che però era un crisi industriale mentre l’attuale è finanziaria). Un’Europa divisa non sarebbe in grado di contrastare l’offensiva dell’Islam radicale sul piano militare. È un’illusione pensare che, in un’economia interconnessa, ciascun Paese possa fare da sé: oggi l’Europa è il primo mercato del mondo ma stanno emergendo altri Stati con risorse tali da far impallidire l’idea di tornare al passato, alla concorrenza di Paesi troppo diversi quanto a potenzialità economiche.
L’Italia non sarebbe in grado di reggere la competizione mondiale e tornerebbe ad essere una nazione povera con profondi squilibri interni. Un sistema politico di competenza locale sarebbe ridotto a gestire l’ordinaria amministrazione, incapace di sostenere i problemi che sarebbero lasciati al potere globale. Una miriade di monete nazionali non consentirebbe di effettuare gli scambi senza l’intermediazione di quelle forti come il dollaro.
Così mentre la globalità mondiale ha messo i crisi gli Stati-nazione non riusciamo a vedere quanto sia controproducente affrontare separatamente, senza una visione d’insieme, i vari problemi. La gente esasperata dalla crisi e sfiduciata della classe politica, chiaramente inadeguata ad affrontare i motivi della protesta, non sa tuttavia scegliere i propri rappresentanti tra le persone oneste, ed anzi sembra premiare i peggiori, i disonesti, i corrotti. Il familismo amorale le impedisce di scegliere i politici secondo l’interesse pubblico e non per meno nobili motivi particolaristici, segue le sirene dei populisti e privilegia la propaganda, anche volgare, rispetto alle competenze; le forse populiste sono però prigioniere delle promesse che non possono essere mantenute. Il mondo va avanti e non è possibile tornare indietro: le nazioni sono in via di superamento, i localismi non possono competere con la globalizzazione.
Si moltiplicano i venditori di facili slogan, i moltiplicatori di ansia, gli spacciatori di semplificazioni che alla prova dei fatti si rivelano inefficaci. I populisti, come Salvini e Grillo, non hanno fatto altro che alimentare il senso di insicurezza e di paura, condizionando lo stato d’animo dei cittadini. Bisogna rimediare oggi agli errori del passato e trovare nuove strade, realizzare riforme e progetti concreti, non perdersi in chiacchiere e recriminazioni.
La UE deve diventare un super-stato, dotato di un governo centrale monocratico, ridisegnando l’architettura dell’Unione, ricomponendo le tensioni tra gli Stati membri e gli organi europei e adottare una Costituzione condivisa. Solo con le proteste non si va da nessuna parte, anche la critica alla politica deve avere un limite perché è meglio una mediocre politica che nessuna politica; la politica infatti è la condizione per la democrazia, se viene meno quella cade anche questa e lo Stato si disintegra in poteri e interessi particolari, spesso di carattere criminale. Dobbiamo ricominciare da capo per ritrovare l’anima dell’identità europea, a cui ricondurre un nuovo, credibile progetto. Una forma di civiltà che pone l’accento sugli individui e sui popoli deve far riferimento al pensiero greco, al diritto romano, al Cristianesimo e all’illuminismo in una sintesi di vera laicità, di rispetto, di dialogo, di mediazione.
Se perdiamo il riferimento alle nostre radici, rifiutiamo una civiltà che ha reso l’Europa unica nel mondo. Nonostante i difetti, gli errori, i persistenti egoismi nazionali, l’Unione Europea rappresenta uno dei tentativi più avanzati di trovare soluzioni a problemi prodotti a livello globale (come l’immigrazione); è un laboratorio in cui sono progettati dibattiti e testati sul campo i modi per far fronte a quelle sfide e per risolvere quei problemi. Senza l’Europa non ci resterebbero che le “strategie individualistiche” proposte dal neoliberismo quando invece occorre “disfare il mercato e rifarlo in forma più accettabile, perché il mercato non l’ha fatto Dio ma noi esseri umani” (J.M. Coetazee) e avviare la transizione dallo Stato-nazione verso un ordine superiore.
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