Ci sono persone che fanno la storia. La fanno perché arrivano al momento giusto, quando tutto sembra omologarsi in un appiattimento fisico e mentale, da cui riesce difficile uscire. Arrivano e ti fanno capire che esiste anche l’altra faccia della medaglia, quella che avevamo deposto convinti che la via della verità fosse già stata tracciata per sempre. Papa Francesco è una di queste. Arriva quando tutto sembra andare in frantumi, quando la Chiesa cattolica sembra storicamente impotente ad affrontare problemi che lambiscono le parti nobili della sua storia, mettendo in discussione persino il ruolo inattaccabile riservato al vicario di Cristo.
È il momento in cui tutto può diventare possibile, anche assistere alle dimissioni di un papa, svegliarsi al mattino e vederne due, insieme, vestiti di bianco, annunciare al mondo l’inoppugnabile evoluzione di una storia sottoposta alla stranezza delle vicende umane. Un momento difficile che impone revisioni mai immaginate prima, fuori dallo schema dogmatico cui la Chiesa ci ha abituato per secoli.
Tra il dogma e la dottrina esiste però una terza via, quella della umanissima capacità di saper dare risposte pratiche a realtà contingenti, concedendo a un simbolo la possibilità di essere carnalmente uomo, soggetto alle leggi umane, oltreché divine. Così ci siamo candidamente rassegnati.
Abbiamo guardato con fede a quel vescovo argentino, figlio di genitori italiani, per metà liguri e per metà piemontesi, che rompe una inossidabile tradizione gerarchica. Colpisce la sua lingua spagnoleggiante, colpisce soprattutto la sua capacità di stabilire un umanissimo contatto con le attese di un popolo afflitto dai drammi della corruzione umana, da una storia stupenda e terribile che propone in modo brutale l’immagine globale dell’essere e della sua condizione, in un ordine caotico, ma storicamente possibile.
Il Bergoglio degli inizi è disarmante, innovativo, trasformista, offre un’immagine di assoluta naturalezza. Vederlo e ascoltarlo è come incontrare per strada il vecchio parroco di campagna capace di riannodare il filo dei sentimenti e delle emozioni di cui ci eravamo dimenticati. Un personaggio fuori dalle righe, capace di far passare in secondo piano le inquietudini di un ordine imposto, di sorprendere con i suoi “fuori pista”, con i suoi atti spontanei di devozione popolare. Un vicario che esce dall’ingessatura gerarchica per abbracciare la spontaneità, per rispondere all’impulso di uno spirito evangelico ampiamente cresciuto e vissuto nelle favelas argentine.
In una Europa dominata dal debito pubblico, dalle alterne vicende dell’euro, dalle mille difficoltà di ordine economico-finanziario, a tratti incapace di riannodare fondamentali linee di condotta comuni, papa Bergoglio si lancia a testa bassa contro tutto ciò che corrompe l’idea di unione, di solidarietà e di onestà. Per questo adotta uno stile di vita, una linea di condotta, uno spazio vitale adeguato, offre un esempio d’identità cristiana capace d’ interagire con un mondo in rapida trasformazione. Molti lo additano come il papa della normalità, che dice e fa cose normali alle quali ci eravamo disabituati. La sua catechesi è libera, svincolata, non copre nessuno. Si lancia in una pratica educativa che richiama tutti ad assumersi le proprie responsabilità. Non è tenero neppure con quel mondo ecclesiastico che ha sempre goduto del giudizio mite e garbato, coprente e conservativo di Santa Madre Chiesa. Papa Francesco affronta di petto i problemi, senza lasciarsi intimorire o condizionare, con l’occhio rivolto alle necessità della gente povera, quella che lo invoca da piazza san Pietro e che gli fa cerchio attorno quando lo incontra nelle vie o nelle piazze.
Nei centri o nelle periferie la sua voce passa con quell’accento paterno che richiama all’ordine chi, dell’ordine, si è dimenticato, privilegiando i palazzi alla via della predicazione evangelica delle origini. È fortemente innovativo non solo nella scelta dello stile di vita, ma soprattutto nella capacità di rispondere alle aspettative degli ultimi. Per loro crea luoghi di ricovero abitativo, spazi di identità umana e cristiana. Per loro è presente dove si consumano i drammi, restituendo alla Chiesa la sua immagine universale.
Papa Francesco arriva nel momento in cui essere cristiani significa amare il prossimo fino al sacrificio della vita, proprio come agli albori, quando le persecuzioni imperiali mettevano a dura prova la fede in Gesù di Nazareth. Arriva e comunica la sua grande fiducia nella misericordia, lasciando intuire che il senso vero e profondo della cultura cristiana è nell’essere servizio al banchetto degli ultimi.
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