Bello quell’inno di Mameli intonato dai tifosi juventini al Barnabeu quando stava per scoccare la scintilla di un incendio che doveva assicurare alla Juve il calore dell’arrivo in finale.
Bello e, oltretutto, un coro “fuori dal coro”. Essendo la cosa insolita probabilmente una parte dei giocatori juventini, dal volto tanto o poco colorato, non avranno capito molto di quel canto decisamente diverso dal rituale incitamento.
Bello, comunque. E dedicato anche ai trionfi in campionato ed in Coppa.
Il premio va alla squadra, all’allenatore, alla direzione tecnica ma, lasciatelo dire, soprattutto alla società.
Lasciatelo dire insieme a quel simpatico e modesto allenatore del Frosinone che, mentre riceveva i complimenti per il suo operato notoriamente concretatosi con l’imprevedibile passaggio della sua squadra, in due stagioni, dalla C alla A, dichiarava, apertamente, che certi successi dipendono soprattutto dalle società capaci di mettere assieme formazioni dalla eccezionale composizione.
E per non sbagliare, accettando con riserva la valanga di complimenti che gli venivano rivolti, precisava, con tanto di nomi, che né Allegri, né Mourinho, retrocedendo sino a ricomprendere anche Sacchi, avrebbero potuto ottenere i trionfi ottenuti se non avessero potuto aver rappresentata, sul campo, la forza di una società.
Così è stato per la Juve alla quale, peraltro, è toccata, ancora una volta, la delusione più cocente non ripagando la tensione allo spasimo per conquistare l’Europa con quella squadra che in Italia aveva surclassato tutti ma che, varcata la frontiera, è tornata a percorrere il cammino della delusione pur avendolo intrapreso con meritevoli e qualificate speranze rispetto al passato.
La dichiarazione del Presidente – che ha voluto precisare che le vittorie della Juventus “non sono state del calcio italiano” ma della società da lui guidata – s’intona perfettamente con quanto qui sostenuto. Successi frutto di uno sforzo enorme anche tecnico ma, soprattutto, economico di un sodalizio.
Difficile, invece, essere d’accordo – sempre con il presidente – quando afferma che la Juventus ha raggiunto il proprio scopo. Non è così.
Scopo primo e fondamentale della “costruzione” di una grande squadra era quello di “sfondare” in Europa conquistando il titolo. Questo l’obbiettivo effettivo di gran lunga avanti, nelle speranze, alle vittorie – pur importanti – nazionali.
L’obbiettivo massimo – è arcinoto – non è stato, dunque, centrato cosa che se non rappresenta –certo – una sconfitta non ha sicuramente dato alla Juve la gioia della più ambita soddisfazione. L’Europa non si è inchinata ai bianco-neri pur forti di una squadra potentissima e solo da elogiare.
Allora quanto bisognerà aspettare? Poco, tanto? Quanto, insomma? Magari domani: se del caso con una squadra meno forte ma con circostanze più fortunate. Difficile sarà, certo, rimettere in campo una potenza come quella della Juventus 2015.
Non resta che sperare che quell’inno di Mameli strozzatosi in tante gole a Berlino possa esplodere in tutta la sua forza in altra occasione con modalità e forme ancora da identificarsi.
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