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Cultura

IL CRISTIANO ESEMPLARE

LIVIO GHIRINGHELLI - 12/06/2015

pesceScritto di carattere apologetico – protrettico, d’autore anonimo, ma che risente dell’ambiente alessandrino, rivolto a un pagano (un certo Diogneto), imputabile alla seconda metà del secondo secolo, rinvenuto per caso intorno al 1436 a Costantinopoli da un giovane chierico latino, Tommaso d’Arezzo, presso il banco di un pescivendolo, la Lettera a Diogneto è venuta a conquistare via via una splendida attualità grazie al profilo esemplare di cristiano che vi si prospetta. Di recente se ne è trovata traccia in tre Costituzioni (Gaudium et spes, Lumen Gentium, Dei Verbum) e in un Decreto (Ad Gentes) del Concilio Vaticano II, in relazione alla necessità per la Chiesa di cogliere i segni dei tempi nello svolgere la sua missione apostolica.

Dopo l’esordio l’opera si articola in tre sezioni: la prima è destinata a difendere i cristiani dalle critiche a loro rivolte da pagani ed ebrei (capitoli II: L’idolatria, III: Il culto giudaico, IV: Il ritualismo giudaico); la seconda (capitoli V: Il mistero cristiano; VI: L’anima del mondo) è intesa a chiarire lo stile di vita paradossale dei cristiani e a qualificarli come anima del mondo; la terza (capitoli VII: Dio e il Verbo, VIII: L’incarnazione, IX: L’economia divina, X: La carità, XI: Il Maestro, XII: La vera scienza) si concentra sui fondamenti di fede e di rivelazione che consentono ai cristiani di vivere in un modo tanto singolare.

Le loro comunità, di varia composizione sociale (appartenenti a classi superiori, come persone modeste e schiavi) vivevano minoritarie all’interno dell’impero romano in una coabitazione problematica e di non facile soluzione con la maggioranza pagana, date le diverse convinzioni sul piano religioso, culturale e politico, al punto da destare anche scandalo. L’adesione al Cristianesimo di queste frange veniva soprattutto e in coerenza a investire tutti gli aspetti dell’esistenza umana, compreso il modo di essere cittadini.

“I cristiani non si differenziano dagli altri uomini, né per territorio, né per lingua, né per costumi. Non abitano in città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero d’uomini multiformi, né come fanno gli altri aderiscono a una corrente filosofica umana. Abitando nelle città greche e barbare, come a ciascuno è toccato, e uniformandosi alle usanze locali, per quanto riguarda l’abbigliamento, il cibo ed il resto, danno testimonianza di un sistema di vita mirabile e straordinario” (V, 1-4).

“Essi vivono nella loro patria, ma come forestieri, partecipano a tutto come cittadini, e da tutto si distaccano come stranieri. Ogni terra straniera è patria loro e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non espongono i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma hanno la cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti e da tutti sono perseguitati. Non sono conosciuti, eppure sono condannati. Sono uccisi e tuttavia sono vivificati. Sono poveri e arricchiscono molti; mancano di tutto e di tutto abbondano. Sono disprezzati, ma nel disprezzo acquistano gloria. Vengono oltraggiati e benedicono; sono maltrattati e invece rendono onore. Se compiono del bene, vengono puniti come malfattori; pur se puniti, gioiscono, come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri e perseguitati dai greci e coloro che li odiano non sanno dire il motivo della propria avversione” (V, 5-17).

La cittadinanza è duplice, ma disposta secondo la scala dei valori. L’appartenenza più fondamentale e originaria è il cielo. Di qui una radicale libertà interiore. Anche sulla terra costruiscono generosamente il bene comune, ma hanno orizzonti ben più alti e vasti. Non possono disinteressarsi della società, non sono in fuga dal mondo. Le reazioni ostili le combattono con apertura di idee e di atteggiamenti, con benevolenza, maturata alla luce del Vangelo.

“Per dirla in breve, come l’anima è nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L’anima è diffusa in tutte le membra del corpo e i cristiani sono sparsi per tutte le città della terra. L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; così i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. L’anima invisibile è racchiusa nel corpo visibile; i cristiani, essendo nel mondo, sono visibili, ma la loro religione è invisibile. La carne odia l’anima e la combatte, pur senza riceverne ingiuria, perché le impedisce di cedere ai piaceri; anche i cristiani sono odiati dal mondo, che pur non ne ha subito ingiustizia, perché si oppongono ai piaceri. L’anima ama la carne che la odia e le membra; anche i cristiani amano coloro che li odiano. L’anima, che pur sostiene il corpo, vi è racchiusa; anche i cristiani, che pure sono il sostegno del mondo, vi sono rinchiusi come in una prigione. L’anima immortale abita in una dimora mortale; anche i cristiani vivono come stranieri fra tutto ciò che è corruttibile, in attesa dell’incorruttibilità celeste. Mortificata nei cibi e nelle bevande, l’anima si raffina; anche i cristiani, per quanto maltrattati, ogni giorno di più si moltiplicano. Dio li ha messi in un posto così sublime, che non è loro lecito abbandonarlo” (cap. VI, 1-10).

È tutta una concezione mutuata dalle correnti platoniche e dallo stoicismo, ma illuminata dalla fede. La realtà del mondo è una dimensione transitoria, ma nessuna realtà è rifiutata a priori (nessuna sterile opposizione) in attesa dell’orizzonte ultimo della speranza. Il mondo è oggetto della cura di Dio, dalla creazione alla redenzione. Più che sul culto ci si concentra in una esperienza interiore. È il ruolo dell’amore che è messo in risalto in una prospettiva escatologica. I cristiani vegliano e attendono con ansia la parusia. Ecco una vita dinamica, che valorizza la dignità della persona in un clima fraternamente vissuto di trasformazione della realtà.

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