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Editoriale

PERICOLI

CAMILLO MASSIMO FIORI - 12/06/2015

bossisakviniGli italiani hanno la memoria corta: il fascismo è un ricordo sbiadito, gli anni del terrorismo nero e rosso sono stati archiviati nella memoria, la corruzione della prima Repubblica è stata emulata e superata dalla seconda, i cittadini tornano all’antico vizio di superare gli errori di ieri scegliendo non i migliori della società, ma i peggiori della partitocrazia. Ha scritto George Santayana: “Quelli che non sanno o non vogliono ricordare il passato, sono condannati a ripeterlo”.

Appena pochi mesi fa la Lega fondata da Umberto Bossi più di vent’anni fa è stata affondata dal discredito di una deprimente storia familistica tipicamente italiana. Gli scandali che hanno toccato la famiglia del fondatore e del suo “entourage” nella gestione del finanziamento pubblico del partito hanno dissolto la convinzione che il movimento padano fosse in grado di rinnovare la politica e la società dal punto di vista morale combattendo il diffuso fenomeno della corruzione. Così purtroppo non è stato.

Eppure il fallimento della Lega non è stato solo nella cattiva gestione del denaro dei contribuenti, nel lusso della indebita appropriazione del denaro pubblico per benefit privati, ma nell’aver definitivamente compromesso, con la negativa esperienza di governo, l’idea del federalismo per la quale si erano battuti uomini come Vincenzo Gioberti, Carlo Cattaneo e don Luigi Sturzo. Le Regioni non hanno governato meglio delle istituzioni nazionali, non hanno speso con maggior parsimonia i soldi dei cittadini per consentire la diminuzione delle tasse; hanno invece dissipato ingenti risorse senza neppure quei sacrifici che lo Stato nazionale sta tentando di fare in una situazione di crisi durissima. Abbandonato Bossi, anche per le sue precarie condizioni di salute, il nuovo segretario Salvini supera Berlusconi nei consensi, acquisendo parte del suo elettorato tradizionale. Salvini ha impresso alla Lega una virata a trecentosessanta gradi, dimenticando la retorica della Padania, il federalismo e la pretesa della secessione, ha abbracciato il pensiero dei movimenti xenofobi europei e ha riassunto la sua politica su pochi temi che però hanno grande presa, come l’immigrazione, la diminuzione delle tasse, il rifiuto dell’euro e dei vincoli comunitari, che hanno facile presa su un elettorato provato dalla crisi economica che non ha più fiducia nella politica dei partiti e ha paura di una invasione degli immigrati.

È cambiata la Lega o è cambiato il contesto?

Probabilmente nessuna delle due ipotesi è fondata. La Lega non rinnega il suo passato localistico e xenofobo ma lo raccorda allo scenario di un’Europa in crisi da cui vuole uscire abbandonando i processi di integrazione; essa prospera perché la crisi economica non è superata. La svolta di Salvini tiene conto che nel nuovo scenario mondiale in cui gli Stati nazionali non costituiscono più un rifugio per i popoli e sono assorbiti dalla globalizzazione. È però è troppo facile pensare di risolvere i problemi cercando di distruggere le realizzazioni del passato, la storia va avanti verso la interconnessione dei sistemi economici.

La Lega ha tuttora successo perché in Italia non ci sono ancora le risposte che i cittadini aspettano e il Nord industrializzato si trova debilitato da due decenni di crisi profonda e dal disimpegno della politica. Il consenso ottenuto, lisciando gli elettori per il verso del pelo, non ha contribuito ad aggredire i problemi reali ma ha soltanto spianato la via al Movimento 5 Stelle che ora ha la possibilità di farle concorrenza sulla base di una deleteria rincorsa al populismo e alla demagogia

Entrambi i movimenti sono forti nella protesta ma sono anche prigionieri di promesse che non possono mantenere; tuttavia la Lega ha un più marcato radicamento locale al Nord.

La Lega ha messo in atto, negli anni scorsi, un tentativo malriuscito per cancellare la memoria tradizionale e ricostruirla artificiosamente con una memoria di comodo.

Fino agli anni Ottanta il richiamo al popolo evocava la lotta di classe; con la Lega il conflitto politico verte sulla diversità delle identità etniche; con Beppe Grillo il contrasto oppone chi sta in basso e chi sta in alto della gerarchia sociale, tra chi è “in” e chi è “out”, tra chi è dentro e chi è fuori. Ai tempi di Marx lo sfruttamento rappresentava l’estrema polarizzazione della diseguaglianza, oggi è invece la diversità, l’esclusione la forma più evidente del dislivello di classe.

Nella concezione leghista si sottende che il popolo abbia in mano la verità per diritto naturale; è il legame fra terra e sangue che dà il diritto di esistere in Padania: “Se non sei dei nostri devi stare fuori”. Ecco il pericolo del fondamentalismo leghista: una società democratica che si trasforma in un Paese di tribù: la concezione leghista è pre-politica e tribale. La Lega ha ottenuto il rovesciamento di una serie di valori in elementi di disvalore; cerca di spaventare i cittadini per accelerare il cambiamento ma essa si è dimostrata uguale ai vecchi partiti nelle logiche clientelari e spartitorie. Viceversa il Movimento 5 Stelle non è stato coinvolto in episodi di malcostume perché praticamente non dispone di alcuna leva di potere.

Alla teoria dello scontro sociale di classe è stata sostituita quella leghista della diversità dove non è più la stratificazione sociale ma la cultura a fare la differenza tra le persone, una cultura intesa come naturalmente acquisita per via biologica, cosicché l’identità si basa sul principio deterministico del binomio “terra e sangue”. Le idee xenofobe della Lega sono entrate in circolo nella società senza una vera discussione, sono state assimilate senza obiezione anche dal ceto culturale e dai “media”, costituiscono pertanto un incentivo al conformismo oltre che un mezzo con cui la politica cerca di sviare l’attenzione dei cittadini dalle ben più complesse ragioni che stanno alla base della nostra crisi. Nel momento in cui il capitalismo finanziario mostra il suo sviluppo più spietato, la falsa narrazione della Lega è insufficiente a tranquillizzare i cittadini e ad arginare le paure di incertezza del futuro generate dalla globalizzazione.

La paura degli altri è anche un affare e serve a vendere quella merce politica che si chiama sicurezza; l’identità è un surrogato più che una premessa della comunità; le identità nazionali e regionali non sono concetti astratti ma sono storicamente fondate sulla lotta per il potere tra gruppi rivali. È passata nell’opinione pubblica l’idea aberrante di una società chiusa, di una fortezza per respingere il nemico e difendere i propri beni, in luogo di una società aperta e solidale che abbiamo ereditato dal cristianesimo e dalla democrazia.

La Lega ha sempre mirato ad una doppia occupazione, quella dell’immaginario collettivo attraverso simboli e narrazioni immaginarie e quella del territorio attraverso la penetrazione elettorale.

La Lega di Matteo Salvini non è diversa da quella di Umberto Bossi, ha solo apportato alcuni cambiamenti di necessità: invece del federalismo e della secessione vengono proposti la lotta contro l’euro e lo stop agli immigrati. L’euro è uno strumento finalizzato a determinati obiettivi, se viene subordinato al modello liberista è quest’ultimo che va tolto di mezzo, non la moneta unica. In tutte le epoche storiche le correnti migratorie ci sono sempre state come conseguenza delle guerre e della miseria; sono queste ultime che vanno progressivamente eliminate.

La “Lega Nord per l’ indipendenza della Padania” (questo il vero nome) è un pericolo reale per la coesione della società e un rischio per la possibile dissoluzione dell’Italia.

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