Riflettiamo sulla condizione dei tesori di cui si può fregiare il territorio varesino, partendo dai quattro siti Unesco di cui disponiamo a poca distanza uno dall’altro (Castelseprio, Isolino Virginia, Sacro Monte, Monte Orsa).
L’isolino, prezioso e unico impalcato preistorico del genere in Europa, appare impresentabile al turismo – così come le altre presenze archeologiche sul Lago di Varese, il Sacro Monte, pur bellissimo, ha bisogno di restauri forti delle sue Cappelle, di Castelseprio e del Monte Orsa penso, da quanto posso apprendere dalla stampa locale, che tutto funzioni positivamente.
Mi chiedo: si potrebbe può a buon fare qualcosa in più?
La risposta di fornisco è assolutamente positiva. Si dovrebbero fare dei piani di gestione Unesco (che di fatto sono la carta di identità del bene con la indicazione delle opere necessarie per la sua osservazione) diversi da quello fatto per il sito dei Sacri Monti di Piemonte e di Lombardia. Questo dovrebbe essere aggiornato e i nuovi piani dovrebbero, a mio modo di vedere, estendere il bene Unesco nel territorio afferente al sito reperendo tutti i riferimenti necessari.
Il Piano di gestione di ogni sito Unesco dovrebbe, anche, individuare tutte le forze private che potrebbero essere individuate nel territorio e che potrebbero collaborare con gli enti pubblici, per il mantenimento del sito. Non solo: il Piano di gestione, dovrebbe individuare i progetti da realizzare e, soprattutto, il modo in cui questi – i progetti - possano divenire ciascuno una arma attraverso cui il privato, oltre a spendere, possa, soprattutto, guadagnare nel pieno rispetto del bene.
Il privato così avrebbe un diretto interesse a mantenere vivo il bene e a collaborare quindi per il suo mantenimento e la sua valorizzazione, nel pieno rispetto della sua integrità.
Il piano di gestione dovrebbe essere chiamato anche a stabilire il modo di relazione tra ciascun bene Unesco vicino sia nel territorio nazionale, che in quello estero.
In questo momento manca in questo senso una relazione (e quindi un dialogo costruttivo) tra questi beni. Fare questo sforzo, questo necessario passo, è ciò manca a livello locale come a livello nazionale.
Andiamo, infatti, giù nonostante il turismo sia “l’industria del futuro’’. Nonostante l’Italia, con i suoi tesori e il suo cucito e i suoi paesaggi resti in cima ai sogni di tutti. E non serve a nulla, se si usano male, avere il record dei siti Unesco: lo dicono i tracolli di visitatori alla Reggia di Caserta o a Villa Adriana.
Sarebbe ora che il turismo diventasse, sul serio, per la politica, uno dei temi per uscire da questi anni bui. Serve un’occasione per parlarne? Eccola – citando percentuali dell’anno scorso ma ancora ora valide -: l’uscita dei dati per il 2013 anni del Ministero dei Beni Culturali e di un rapporto scomodo dell’associazione “Italia decide’’ presieduta da Luciano Violante dal titolo ambizioso Turismo dopo trent’anni, tornare primi. Ed eravamo davvero i primi una volta. Nel 1950 l’organizzazione mondiale per il turismo di Ginevra, affermò che la nostra quota di sviluppo turistico sarebbe destinata a diventare rapidamente una delle più importanti industrie del mondo. Davanti a venticinque milioni di viaggiatori internazionali, infatti, poco meno di cinque di loro venivano, allora, in vacanza da noi. Da allora la nostra quota si è ridotta di decennio in decennio passando dal 19% del 1950 all’1,4% di oggi. Certo si sono aperti nuovi mercati, si sono spalancati nuovi Paesi, si sono messi in movimento nuovi popoli di viaggiatori. C’è poco da che piangere sul destino cinico e baro. Era un destino ineluttabile. Dello stesso hanno fatto le spese anche la Francia la Spagna o gli Stati Uniti. Quello che fa rabbia, però, è che nessuno è andato giù quanto siamo andati giù noi. E, soprattutto, nessuno ha approfittato poco quanto noi del boom del turismo mondiale. Un boom mai visto. Due numeri: dal 1950 ad oggi i turisti stranieri che vengono in Italia si sono moltiplicati per 10 volte: da 4,8 a 47,8 milioni. Ma l’immenso popolo di turisti del mondo, grazie all’impetuoso arricchimento soprattutto della Cina, della Corea e degli altri paesi asiatici, si è moltiplicato per quasi 43 volte. Il che significa che noi siamo riusciti a fare nostra soltanto una fetta molto piccola della torta. Dicono le classifiche del Country Brand Index 2012-2013, che misura la popolarità dei marchi di 118 Paesi, che l’Italia è primissima o ai primissimi posti dell’immaginario di tremila importanti opinion leader di tutto il mondo (e dunque dei potenziali visitatori stranieri) per la ricchezza culturale, la gastronomia, la moda. Eppure, se negli ultimi tre anni si sono affacciati alla frontiera 137 milioni di turisti mondiali più rispetto al 2010, uno scoppio di salute impensabile solo trent’anni fa, noi siamo rimasti al palo. O siamo andati, addirittura, indietro. Come è spiegato in una delle relazioni del dossier di ‘Italia decide’, il direttore del centro studi del Touring Club ‘i dati sui flussi turistici diffusi dall’Istat, e relativi al 2012, hanno registrato 98,1 milioni di arrivi – 5,4% rispetto al 2011 e 362 milioni di presenze totali – 4,8% rispetto al 2011.
E le cose non sono migliorate nel 2013. Secondo le carte da cui ho attinto i dati di cui al presente testo, Il valore aggiunto dell’industria turistica in Italia – a termini delle attività che possono considerarsi core business – è stato di 63,9 milioni di euro ovvero pari al 4% del PIL nazionale. Una quota bassissima. Che calcolando il valore aggiunto dell’intera economia turistica – dalle pasticcerie che forniscono i croissant agli alberghi, alle sartorie che fanno le camice per i camerieri -sale fino al 161 miliardi che corrispondono alle 10,2% del PIL. Una percentuale assai lontana dai proclami guasconi di vari premier del passato, tutti concordi nel promettere il bene turismo al 20% del prodotto interno lordo.
Come mai? Perché accusa lo studio del Touring ‘ il comparto si avvale da anni di rendite di posizione ancorate al grande ‘tourisdotto’ delle città d’arte o delle aree costiere’, quando c’è da sempre una ‘cronica assenza di strategie. Il turismo non è mai stato e non è tuttora un’opzione di sviluppo economico presa seriamente in considerazione dalla politica’. Tutta colpa del palazzo? No: il dossier infila infatti, il dito nella piaga della mancanza anche di una cultura dell’ospitalità. Propiniamo troppi bidoni ai turisti; ci sono troppi disservizi; c’è troppa scortesia nei confronti di chi viene a trovarci. Gli italiani si comportano come se tutto a loro sia dovuto in quanto abitanti del ‘paese più bello del mondo’. Peccato, perché quella che è la nostra carta migliore, e cioè il nostro patrimonio culturale, potrebbe godere dei frutti di una stagione eccezionale. Spiega, infatti, il coordinatore del rapporto di Turistica.it, che nel 2011 la maggior quota di arrivi di turisti in Italia è determinata dal turismo delle città di interesse artistico e storico con il 35,6%, davanti al turismo delle località marine con il 21,5%. Di più: la analisi dei differenziali rivela che l’aumento complessivo degli arrivi verificatosi nel periodo 2000-2010, pari a 23,692 milioni, è imputabile in gran parte, per il 42,5% all’aumento del turismo culturale, per il 20,2% alle località non classificate come turistiche, per l’11,3% alle località balneari, per il 10,9% alle località montane e per il 7,3% a quelle lacuali’. Le potenzialità sono e sarebbero enormi.
Non basta avere delle belle piazze e bei monumenti e bei musei. Non basta neanche avere il bollino di sito Unesco. Siamo i primi in assoluto con 49 bollini. Valgono poco se le notizie e le immagini sul degrado e la quotidiana rovina di Pompei corrispondono a verità.
Dobbiamo a livello locale incominciare a insegnare a tutta la nazione che i tesori di cui si dispone vanno curati con amore e valorizzati.
Basta agli uomini politici che si dimenticano di un Castello di Belforte che dopo esserselo fatto donare dalla privata proprietà non ci spendono un euro lasciandolo crollare quasi completamente.
Basta agli uomini politici che lasciano l’isolino Virginia, patrimonio dell’umanità, assolutamente infrequentabile.
Basta agli uomini politici che si dimostrano incapaci a valorizzare i siti patrimonio dell’umanità di cui dispongono e a stabilire fra loro delle costruttive relazioni. Questi non sono che esempi di una non capacità di fare turismo. I tesori l’abbiamo scritto sopra vanno curati con amore. Non possono essere abbandonati a se stessi. Potrebbero essere il nostro futuro. Devono poter essere svolte assieme la tutela e il turismo. Deve essere possibile. E forse come dice il rapporto del Touring se l’Italia credesse di più nel turismo, sarebbe un paese migliore.
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