Come già in altre simili ricorrenze recenti, anche nel caso del primo centenario dell’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale (24 maggio 1915), si è persa una buona occasione per liberare finalmente la storia ufficiale del nostro Paese dalla coltre di retorica e di censure di varia origine che la copre senza vantaggio per nessuno.
Dopo aver deposto al mattino una corona d’alloro a Roma al cosiddetto Altare della Patria (un’imbarazzante ara pagana cui sarebbe ora di cambiare nome e funzione), il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è volato a Gorizia, che insieme al suo Monte San Michele, allora teatro di battaglie risoltesi in immani massacri senza senso, era stata scelta quale sede della principale cerimonia commemorativa dell’anniversario. “Il conflitto 1914-18”, ha detto tra l’altro nella circostanza Mattarella, “fu una tragedia immane che poteva essere evitata. Non dobbiamo avere paura della verità. Senza la verità, senza la ricerca storica, la memoria sarebbe destinata ad impallidire. E le celebrazioni rischierebbero di diventare un vano esercizio retorico”. Parole sacrosante, che condividiamo pienamente: una frase del tipo di quelle che tra noi gente comune continuerebbero con le fatidiche parole, “Se fossi Presidente della Repubblica…” per poi fatalmente fermarsi lì. Nel caso di Mattarella invece la situazione è ben diversa: lui è presidente della Repubblica. Quindi è l’unico tra tutti noi per il quale la fatidica frase si declina all’indicativo. Almeno però a giudicare dai fatti non sembra che ciò gli sia stato di vantaggio. Altrimenti sotto il suo alto patronato la commemorazione del centenario del 24 maggio 1915 avrebbe potuto essere l’evento conclusivo di un ampio ciclo di studi e di dibattiti sulla Prima guerra mondiale e sui motivi per cui il governo italiano del tempo decise di precipitarci dentro il nostro Paese: un dibattito a molte voci, comprese quelle dei territori già sotto sovranità austriaca poi annessi all’Italia a seguito di tale conflitto, talvolta anche contro la volontà dei loro abitanti. Niente invece di tutto questo, ma solo una cavalcata retorica dell’ultimo momento che tra l’altro avrebbe perciò di sicuro creato tensioni (come infatti è accaduto) nella provincia di Bolzano, terra di lingua tedesca e ladina annessa a viva forza; e poi anche oggetto, durante il susseguente regime fascista, di un tentativo di annichilimento culturale attuato pure fisicamente da un lato facendovi affluire a condizioni privilegiate immigranti di lingua italiana e dall’altro forzando l’esodo verso la Germania degli abitanti autoctoni. Tutto questo però, pur se drammatico e cruciale per le popolazioni direttamente interessate, resta ciononostante solo un dettaglio dell’immane tragedia che quel conflitto fu per l’Italia come per tutti gli altri Paesi che vi combatterono. Il caso dell’Italia è particolarmente tragico poiché il nostro Paese non fu costretto da alcun incombente evento a entrare nel conflitto, purché restasse al di fuori del quale l’Austria gli aveva già offerto l’attuale Trentino e forse anche la Bassa Atesina e la città di Bolzano. In quanto a Trieste, che era il suo unico sbocco sul mare (insieme a Fiume che però faceva parte del regno d’Ungheria), l’Austria accettava che diventasse città libera dando così spazio alle aspirazioni nazionaliste dei suoi abitanti in maggioranza italiani ma senza soffocarne la naturale vocazione di porto del Centro Europa. Cedendo alle pressioni di interessi vari, tra cui quelli della grande industria metallurgica, il governo di Roma scelse invece la strada di una guerra che ci costò nell’immediato 650 mila morti e un milione di feriti, spesso mutilati; e a guerra finita la dittatura fascista. Stando così le cose, più di tutti i discorsi ufficiali che si sono fatti in Italia ci sembra valgano le poche parole che Papa Francesco ha dedicato all’anniversario in calce al suo Regina Coeli di domenica scorsa: “ Cento anni fa come oggi l’Italia è entrata nella Grande Guerra, quella «strage inutile»: preghiamo per le vittime, chiedendo allo Spirito Santo il dono della pace”.
Le parole «strage inutile» non erano peraltro estemporanee: si trattava di una citazione da un intervento del suo predecessore Benedetto XV, il quale sin dallo scoppio del conflitto si impegnò toto corde in tentativi per fermarlo e per indurre i belligeranti a deporre le armi e a scegliere la via dei negoziati. In un suo ultimo appello dell’agosto 1918 egli aveva appunto definito la guerra in corso un’”inutile strage” e invitato con un preciso progetto le parti in guerra alla tregua e a trattative di pace. Purtroppo l’unico ad accettare la sua proposta fu l’Imperatore d’Austria Carlo d’Asburgo, succeduto nel 1916 al padre Francesco Giuseppe, mentre in Italia il generale Cadorna arrivò a dire che per questo il Papa avrebbe dovuto essere impiccato.
La Prima guerra mondiale costò nell’insieme circa 10 milioni di morti e 20 milioni di feriti, gravi distruzioni, l’affermarsi in Germania del nazismo e in Italia del fascismo, l’inizio di un lungo periodo di crisi economica e uno squilibrio generale delle relazioni internazionali che condusse vent’anni dopo alla Seconda guerra mondiale. È pertanto un evento di enorme rilievo, da non dimenticare, da commemorare ma non certo da celebrare. A chi ha dei dubbi al riguardo si consiglia di andarsi a leggere le numerose ricerche pubblicate sugli archivi ora aperti dei tribunali militari italiani cui vennero denunciati complessivamente 870 mila uomini (per metà emigrati all’estero che non avevano risposto alla chiamata alle armi), e che pronunciarono mille sentenze di morte. Dalle carte di questi tribunali emerge una realtà che ha poco o nulla a che vedere con la storia ufficiale. Libri da non perdere per farsi un’idea di che cosa fu la Prima guerra mondiale sono poi tra gli altri Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu, e All’ovest niente di nuovo di Erich Maria Remarque.
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