Il futuro è arrivato ma non è quello previsto dai politici e dagli economisti dopo la fine delle ideologie ed il crollo del bipolarismo delle due superpotenze. La “fine della storia” non ha portato la pace e la democrazia.
La fase storica della nascita delle nazioni, iniziata nel Settecento, e quella cruenta dei nazionalismi che hanno insanguinato gli ultimi due secoli hanno lasciato il posto ad una situazione totalmente nuova: quella della globalizzazione e del localismo con le loro sfide che sconvolgono un mondo divenuto sempre più piccolo dove non è più possibile trovare rifugio nelle “piccole patrie” del passato, e anzi milioni di persone in tutto il pianeta sono sospinte ad emigrare a causa della miseria, delle guerre, dei conflitti tribali e della strumentalizzazione della religion.
L’economia non è più controllata dagli Stati sovrani e neppure regolata da organismi internazionali; liberatasi da vincoli morali e sociali, domina incontrastata nella sua forma finanziaria che mira non più al sostegno della produzione ma all’ottenimento del profitto, cioè fare più soldi con i soldi e non anche, come avveniva in passato, per produrre beni e servizi di pubblica utilità.
Da qui lo spostamento dall’Europa, dove è nata la rivoluzione industriale e dove si è posta la questione sociale per la distribuzione delle risorse, dell’apparato produttivo che è emigrato verso paesi e continenti dove i costi sono minori e la protesta sociale è assai debole.
La globalizzazione non è di per sé un fatto negativo, può contribuire a distribuire la ricchezza anche ai popoli sottosviluppati ma questi sono governati da governi autoritari che favoriscono la corruzione.
Questa situazione mondiale comporta una grave crisi anche nel mondo occidentale dove è nata la civiltà moderna.
Recessione economica e disoccupazione hanno creato malcontento nelle popolazioni europee che si trovano ad affrontare problemi imprevisti come la disoccupazione di massa e l’indebolimento dello “Stato sociale” per la carenza di risorse, l’invecchiamento della popolazione unitamente a impreviste e imponenti correnti migratorie che è difficile contrastare, trattandosi di grandi masse di persone che fuggono dalla guerra, dalla violenza e dalla persecuzione da Paesi a noi vicini, non di rado con alte tradizioni civili.
La coesione sociale dei popoli europei si sta sfaldando anche per l’impatto di un materialismo consumista che ha sostituito i valori tradizionali e che ha fatto da premessa al fenomeno della secolarizzazione con la perdita di influenza della religione e della cultura cristiana che dovrebbero essere le risorse spirituali per vincere la crisi in Europa.
Il nostro continente si trova così disarmato e si abbandona alla protesta e al risentimento verso la politica e governanti che, in effetti, non hanno capito il cambiamento e non si curano di trovare le soluzioni
In questo contesto si è acuita la questione religiosa, in particolare nei Paesi dell’Islam che non conoscono la distinzione tra politica e religione e, di conseguenza, la laicità e la democrazia. e sono governati da regimi autoritari. In questi Paesi sono emersi fattori di disintegrazione che hanno portato l’Islam ad una pericolosa frantumazione che ha fatto emergere un radicalismo estremo. Mentre l’Islam moderato ha pochi strumenti, una debole volontà e molte contraddizioni per far sentire la sua voce di tolleranza, quello radicale si presenta invece minaccioso con due distinte tendenze. Quella che fa capo ad Al Qaeda che privilegia l’utilizzo delle cellule terroristiche in tutto il mondo e quella, più recente, dell’ISIS che mira invece alla conquista di vasti territori del Medio Oriente.
Tra i due movimenti del radicalismo islamico, composto peraltro da una galassia di gruppi, non esiste unità di intenti e divergenze tattiche ma antagonismo e diversità ideologiche e strategiche nel segno di un estremismo terrorista di inaudita violenza.
L’ ISIS è parte integrante del conflitto civile del conflitto tra sciti e sunniti, che è una frattura storica del mondo islamico e che è stato riacutizzato dall’intervento bellico americano che poi ha lasciato quei Paesi in balia di se stessi.
L’Islam radicale si è investito della missione di sciogliere il nodo escatologico del destino umano per fondare il regno di dio sulla terra, far risorgere il califfato medioevale, ritornare ad una mitica età dell’oro.
I popoli arabi assistono impotenti o indifferenti alla evaporazione delle loro precedenti identità entrando nel mondo della guerra totale in un parossismo di odio e di violenza. A differenza dell’Islam tradizionale per loro dio è un libro (il Corano) e l’uomo una entità trascurabile.
Questi radicali islamici sono capaci di tutto; tra un decennio potrebbe avverarsi il loro sogno sanguinario con uno Stato islamico stabilizzato nel suo territorio, senza più minoranze religiose, in paesi dove già vivono milioni di persone sotto governi autoritari, sostenuti dagli introiti del petrolio-
La Jihad è un’ideologia totalitaria, come il nazismo, che si diffonde come un virus tra chi crede nella violenza. È un virus che non nasce in Europa ma nell’Islam che snatura la religione islamica e ne costituisce un’aberrazione.
Gli occidentali vivono sulla lama di un coltello ma non sembrano comprendere pienamente la portata della sfida; sono immersi nel loro particolarismi e furbescamente tentano di tenere gli scenari separati per non ammettere il pericolo morale che li sovrasta e affrontare decisioni scomode e impegnative.
Il vecchio mondo sta rinchiudendosi negli scenari della globalizzazione e ne avanza un altro con il ferro e il fuoco, il sangue e la guerra.
Il mondo non deve rifugiarsi nel passato ma deve rinnovare le proprie energie morali in un immane compito collettivo che deve coinvolgere la società anche per evitare che milioni di giovani, in preda alla scoramento e alla sfiducia verso le classi dirigenti, si gettino tra le braccia del falsi profeti e tra le nuove erronee ideologie.
Tuttavia la civiltà occidentale ha una forte superiorità tecnologica e se saprà ritrovare la sua antica virtù civile potrà far superare al mondo questo momento drammatico
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