Anche se questo è un blog dedicato al futuro, vorrei permettermi una irripetibile divagazione. Ho giocato in campionati di provincia a calcio e ho vissuto momenti intensi immerso da sindacalista nel mondo operaio. Così vorrei parlare di una bella storia, fluida e scorrevole che parla del mondo operaio fuori dalla fabbrica, sul campo di calcio. È raccontata da Bruno Ravasio in Una vita nel pallone, Lubrina Editore, 2014 (v. www.energiafelice.it).
Non è solo la vicenda, storicamente datata, sportiva ed umana, di molti decenni fa, di Virginio Ubiali, “Gepì”, rievocata da un lembo di terra bergamasca, ma uno sguardo, quello dell’autore, che spazia con agilità – contemporaneamente e in parallelo – su altre dimensioni, su più fronti. Tra fatti e vicende, politiche e sociali di un tempo, l’immediato dopoguerra, che avrà bisogno del massimo e appassionato impegno collettivo, s’inizia a respirare un’aria nuova, di gaia spensieratezza, e come di vivida sorpresa, per la riconquistata libertà.
C’è una prorompente gioia di vivere e di agire, che nel calcio sviluppa una funzione di attrazione e di collante e che in un paesotto, Ponte san Pietro, trova un eroe in un tessitore della fabbrica Legler che, la domenica, diventa un artista del pallone.
La forza del racconto è nel suo essere una storia per così dire “dilatata”, non comprimibile nell’esclusiva e parziale dimensione territoriale di un piccolo e marginale borgo di provincia.
Tra i vari temi, che insieme si sfiorano e convivono, a volte quasi sovrapponendosi tra loro, centrale appare quello del lavoro, strumento decisivo di riscatto per superare antiche ingiustizie e incrostazioni di un mondo e di una realtà territoriale al proprio interno ancora troppo diseguale. Sullo sfondo il contesto ambientale, le case popolari, i quartieri operai, le grandi fabbriche. Il segno peculiare della ricerca di un possibile riscatto, umano e materiale. Tracce che s’identificano e s’integrano a pieno con l’uomo che gioca col pallone, a cui si affidano speranze inconfessate, aspirazioni di vita: nella comunità di Ponte San Pietro non c’è ragazzo che non vorrebbe identificarsi con “Gepi”.
È un numero 10 naturale, capace delle più impensate acrobazie, che intercetta la sfera col sinistro fatato di una calamita, e che disegna parabole di una bellezza rara. In miniatura simile ad uno dei più grandi giocatori di calcio atalantini di quei tempi, un altro 10, come Maschio e Angelillo, “Angeli dalla faccia sporca”.
Quando bighellonerà, da calciatore professionista tra Novara, Biella, Crema e Lecco, tornerà sempre a Ponte, un luogo che occupa ogni poro la tua anima, da cui più ti allontani più ti richiama a sé.
Così Ubbiali non sarà quel grande campione che avrebbe potuto essere, ma rimarrà in armonia col proprio io, attraversare il tempo che ci è dato con gli amici della gioventù, tra la gente che ti riconosce perché ritorni a raccontare il mondo di fuori a quelli coi quali continuare a condividere, con naturalezza, le esperienze e le scelte di vita più importanti. Un libro non comune, così pieno di verità da farla apparire più profonda e imponderabile delle invenzioni
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