Abbiamo chiesto a Vincenzo Ciaraffa, una delle firme di questo giornale che voi cari lettori conoscete bene, di raccontarci del suo nuovo libro “Ripartiamo dal Piave – Le guerre non si celebrano, si raccontano” che verrà presentato al Palazzo Cusani di via Brera 15 a Milano giovedì 28 maggio alle 18.45). Ma Vincenzo, nella sua conosciuta modestina, ha declinato l’invito. “Cari amici, vi ringrazio – ha risposto – per avermi dato l’opportunità di presentare il mio libro scritto in occasione del centenario dell’inizio per noi della Grande Guerra. Ovviamente le guerre non si celebrano ma sicuramente si ricordano affinché chi ne goda possa capire l’inestimabile valore della pace. Il 24 maggio di un secolo fa l’Italia dichiarò guerra all’Austria, la nemica storica delle sue aspirazioni unitarie e per quanto siano trascorsi “soltanto” cento anni da allora, il ricordo di quel tragico avvenimento si è talmente affievolito nella quarta generazione che, temo, scomparirà del tutto con la quinta. E ciò sarebbe inaccettabile! Ben venga, quindi, l’iniziativa dell’editore di pubblicare dei libri su di un avvenimento che, più, di altri, segnò la storia del nostro Paese con conseguenze dirette, come l’estromissione definitiva dello straniero, e indirette come la nascita della società di massa”.
Ciaraffa aggiunge di sperare d’aver dato il suo contributo affinché il 2015 diventi un anno ricco di ricordi e di moniti, ma anche carico di affettuose memorie per i nostri caduti diventando, così, simbolo della ritrovata unità d’intenti del popolo italiano rispetto alle temibili sfide che lo attendono nel prossimo futuro. Affinché i giovani possano imparare a costruire la pace dal sacrificio dei bisnonni, dalle orme del loro sangue ancora impresse sulle balze del Carso e sulle rive del Piave.
“Chi mi conosce – ha aggiunto – sa quanto abbia in disistima la retorica e, perciò, non aggiungerò altre parole a commento di quelle che ho già scritto nel libro, limitandomi a riportare quelle che, nel corso di una cerimonia per i caduti della Grande Guerra, pronunciò a Gorizia, il 4 novembre del 1962, un personaggio che ritengo sia stato il “meno patriottico” dei politici italiani, Giulio Andreotti. Ciò perché si tratta di parole lucide, forse sincere e, comunque, ancora attuali e che confermano il mio ferreo convincimento che determinati valori possano annidarsi anche nel più insospettabile dei cuori: «Nessun mutamento di regime od esito di guerre combattute può farci cambiare la valutazione delle virtù civili e patriottiche che oggi esaltiamo, respirandone a pieni polmoni il potere educativo e formativo. In un mondo, pur minacciato e turbato da tante nubi, noi vogliamo continuare ancora a credere a queste luci spirituali che illuminano il cammino della nostra Patria».
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