Dal 1990 a oggi gli Amici del Chiostro di Voltorre, con le amministrazioni che si sono succedute, hanno organizzato ben trentaquattro mostre, come ricorda Romano Oldrini… “ma erano altri tempi, c’erano altre disponibilità economiche che ora non ci sono più. Ora occorre ‘reinventare’ lo spazio claustrale, senza più contare su fondi pubblici, puntando su iniziative culturali di richiamo”. In questo senso, a giudicare dalla folla accorsa per il vernissage della mostra di Antonio Pedretti – visitabile fino al 30 giugno – che prevedeva la presentazione di Vittorio Sgarbi, l’obiettivo pare centrato: all’inaugurazione, il Chiostro sembrava la metropolitana milanese nelle ore di punta: il portico, la galleria, le sale dell’esposizione faticavano a contenere il pubblico; impossibile una visione delle tele che erano ‘oscurate’ dai presenti.
Pedretti è un evento a livello internazionale; fa tappa a Voltorre prima di veleggiare verso Milano, Parigi, Kyoto, Osaka, New York in un tour che lo stigmatizza come autore a livello internazionale… La mostra si dipana lungo il perimetro della galleria al piano superiore, ideale location per le tele che sono di grande formato – 1,5,metri per 2 in genere – e sono tutte opere inedite appartenenti alla collezione privata dell’artista. Sono scorci brani immagini della natura: il lago con le sue rive coperte di canneti e l’acqua ora stagnante ora dal movimento ondulato in cui si rispecchiano alberi stecchiti e ancora prati e sterpi e distese di campi imbiancati di neve e squarci di cielo incolore con minime tracce di paesaggio umano sullo sfondo. Ti lasci ghermire da sensazioni di vuoto o desolazione, ti vuoi sciogliere come la neve che copre le sponde lacustri, ti lasci attanagliare dal paesaggio che non termina mai ma prosegue all’infinito in un orizzonte indefinibile e solo suggerito, ti trasferisci sulla tela coi tuoi pensieri cupi o stimolanti di vita o di morte. Sei parte del quadro, intrappolato.
La cifra di Pedretti non è la copia dal vero, non è l’imitazione dell’esistente, non ci sono paesaggi identificabili con questo o quell’angolo del territorio lacustre varesino, luoghi realmente riconoscibili, e non c’è ricerca dei movimenti della luce sugli elementi della natura. È un processo mentale. “Io dipingo di notte, con la luce al neon – dichiara l’artista –. Io non voglio rappresentare quel lago lì, quel pezzo di lago che puoi vedere a Oltrona; io dipingo quello che ho dentro, un campo anonimo, una palude anonima, che è soltanto mia, è solo di Pedretti”.
Il lago come luogo dell’anima, dove vengono rinchiusi i pensieri del pittore, che suscita emozioni, e solo successivamente le riflessioni perché “se un quadro ha bisogno di partire dalle spiegazioni e poi arriva al cuore, se colpisce la mente invece che prendere la pancia, non è arte” è mero esercizio intellettuale. E la maggior parte delle tele che fanno parte del ciclo Bianchi lombardi prima di far pensare, di fare riflettere, trasmette sensazioni ed emozioni: la serenità di una nevicata osservata da un ambiente caldo e protetto e all’opposto la tempesta ed il cielo plumbeo e gli sterpi rotti dalla forza dirompente della tempesta e il terreno coperto dalla neve d’inverno. Pennellate che paiono graffi verticali disegnano paesaggi fiabeschi senza riferimenti a luoghi identificabili. Sono luoghi sospesi, luoghi mentali in cui si intravedono un ponte, una casa, un albero che segnano il richiamo alla realtà, che rendono la tela “significante”. Scarna la tavolozza dei colori: predominano il nero e il bianco con tutte le declinazioni intermedie, qualche striscia di giallo, qualche velatura di azzurro, qualche punto di rosso.
Pedretti vive il grande spirito della natura perché la natura non è materia morta ma vivente che lui rappresenta nel suo farsi, nel suo trasformarsi perenne, moderno vate dell’assunto spinoziano: “deus sive natura”, lo Spirito permea la Natura che assurge alla dimensione divina. Ogni tela è l’espressione di totale immersione in una sfera naturale e insieme spirituale, che di declina in forma mitica, magica, onirica, fabulosa. Le tele del ciclo ‘Psicopaludoso’ proiettano il pittore in una dimensione nuova e personale, alternativa all’esperienza sensoriale quotidiana.
La direzione che segue Pedretti lo avvicina, secondo Sgarbi, a pittori come Morlotti o Chighine o Frangi, tre voci del naturalismo lombardo contemporaneo cui viene accostato. “Non sa davvero cosa si perde chi non lo segue nelle sue silenziose perlustrazioni, assorte a gustare l’impalpabile sfolgorante magia di ciò che ci circonda”. Il senso della realtà si nasconde nei meandri dell’ordinario contemporaneo.
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