L’ottusità burocratica nella gestione della sanità non è una esclusiva lombarda. Infatti l’applicazione di normative e modelli incompatibili con problemi demografici, orografici, ambientali e pure con i collegamenti stradali tipici di zone montane sta mettendo a rischio il “punto nascita” dell’ospedale di Castelnovo Monti, capoluogo del medio-alto Appennino reggiano. E per di più ha scatenato dure contrapposizioni nel partito da sempre dominante, il PD.
Poiché si discuteva e i “compagni” della Bassa, di Bologna e di Roma indugiavano e sembrava non capissero i termini del problema, a difesa della salute di mamme e neonati della montagna si è mobilitato il sistema delle cooperative, uno degli storici pilastri sociali, economici e politici dell’Emilia progressista. C’è stata una vera chiamata alle armi da parte di Confcoop, chiamata corretta formalmente e nei toni, molto pesante nella sostanza perché evidenzia nel partito delle riforme e dei rottamatori mancanza di sensibilità sociale e distacco dalla realtà.
La grande stampa non ha ancora scoperto questo acceso derby nel PD reggiano, io lo richiamo per sottolineare quanto sia importante la vigile partecipazione di istituzioni e cittadini alla vita della comunità, alla soluzione dei suoi problemi. Partecipazione che a Varese è insufficiente e a volte inesistente se davanti a grandi problemi della comunità lasciamo ai nostri eletti libertà di fare e disfare in base agli ordini di partiti che hanno reso Milano distante da noi quanto Roma. Si spiega anche così il declino di Varese. Da noi le rivoluzioni hanno vita lunga, ma sono di breve efficacia. Si tira a campare anche perché non abbiamo storia e cultura di tradizione politica e sociale pienamente sviluppata. L’Emilia è rossa, ma ci sono aree lombarde bianche altrettanto consapevoli, ben lontane da adesioni politiche bovine come le nostre. Le Coop reggiane sono disposte a ribaltare il partito che non tutela la salute della popolazione appenninica, a Varese solo i lavoratori dell’ospedale, una pattuglia di cronisti e alcuni consiglieri comunali del PD chiedono da tempo che al sistema sanitario di Varese e del Verbano vengano restituite efficienza e dignità di un passato recente.
Non abbiamo le cooperative, al potere abbiamo politici inadeguati, che non approfondiscono e quando si muovono fanno solo autogol. Come è accaduto a un capo manipolo leghista che ha sparato a zero sulla stampa e poi si è ritrovato Roberto Maroni a dare una svolta al problema dell’ospedale di Circolo dopo tanti anni di ignavia anche del Centrodestra comunale davanti al dramma del depotenziamento del sistema sanitario di casa nostra.
Non abbiamo cooperative battagliere e stanno zitte per esempio anche le associazioni di categoria: ci sono allora responsabilità, non piccole, che non sono solo della politica.
L’anno prossimo gli elettori abbiano almeno la possibilità e il discernimento di eleggere candidati con senso civico, spirito di partecipazione e un minimo di cultura gestionale. Abbiamo ex sindaci ed ex dirigenti comunali di grande profilo: in autunno il Comune potrebbe riservarsi uno spezzone di Varese Corsi da dedicare a chi vuol conoscere bene la macchina amministrativa della città e le regole per una sua buona gestione.
Una cooperativa di saggi o aspiranti tali a Palazzo Estense sarebbe la prima, piccola rivoluzione culturale di una Varese che non ha bisogno di un idolo, di un uomo forte, di partiti che non coltivano l’orto di casa, ma ha l’urgenza di estendere alla gestione della città la praticità intelligente, la sostanza lungimirante, la dedizione totale del pianeta del lavoro. È proprio una missione impossibile il varo di una simile cooperativa?
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