I recenti articoli dei giornali locali, che hanno descritto la situazione di completa fatiscenza della fornace alla Rasa di Varese, mi hanno indotto, come Presidente pro tempore della Associazione Amici della Terra Varese, a scrivere a tutti i Sindaci dei Comuni che all’interno dei propri confini amministrativi hanno la fortuna di poter godere di antiche fornaci per la produzione di cemento (Sindaco del Comune di Angera, Sindaco del Comune di Ispra, Sindaco del Comune di Castelveccana, Sindaco del Comune di Cittiglio, Sindaco del Comune di Germignaga, Sindaco del Comune di Mesenzana, Sindaco del Comune di Cunardo, Sindaco del Comune di Castello Cabiaglio, Sindaco del Comune di Arcisate, Sindaco del Comune di Varese). L i ho invitati così ad essere custodi attivi, per quanto di loro competenza, di questo patrimonio che è fatto di immobili, ma, anche, dei manufatti e delle pratiche costituenti una vera e propria eredità che è un tassello della archeologia industriale del territorio varesino.
Le antiche fornaci debbono così essere viste come testimoni ancora evidenti di una pratica storica che non deve essere persa, ma, anzi, sfruttata in positivo. Possederle è un piacere ma deve essere anche una responsabilità.
Il 28 luglio 2014 avevo scritto al Sindaco di Arcisate contando, per sue affermazioni rilasciate alla stampa locale, che potesse avere il giusto entusiasmo per essere il referente dell’iniziativa e che potesse convocare tutti i Sindaci di cui sopra per poter decidere una azione di valorizzazione comune e, quindi, per poter avviare la stesura di un progetto col quale concorrere ad un bando regionale o nazionale o europeo.
Posso ben dire (a quasi un anno dalla lettera che ho inviato e dalle successive telefonate) di non esser stato accompagnato dal Sindaco del Comune di Arcisate come avevo ipotizzato, come intendevo e come vorrebbe la convenzione di Aarhus nelle modalità in cui applicata in Italia.
Ho così chiesto a ciascuno dei Sindaci di cui sopra e a cui mi sono rivolto di non essere protagonisti solo di una azione di recupero statico.
Li ho sollecitati a intervenire verso un recupero dinamico delle antiche fornaci.
Mi spiego: non ci si dovrà soltanto limitare ad un restauro conservativo e a un utilizzo sociale delle strutture (in ogni modo importante, ma che, se rimanesse solo, rischierebbe di durare poco nel tempo), bensì, bisogna promuovere un’azione politica dispendiosa quanto a energie e prolungata, volta a costituire un sistema reticolare. Sistema questo, di difficile realizzabilità, per quanto testé scritto, ma, già ampiamente studiato, grazie all’opera di Giuseppe Armocida e al Rotary di cui era Presidente.
Delle antiche fornaci esiste cartina e documentazione fotografica su Internet.
i Sindaci hanno la pappa pronta e non hanno alibi per non lavorare alla realizzazione di un sistema in grado, non solo di produrre ricchezza per la conservazione dei beni, ma, anche, per fornire occasioni di lavoro e di studio per persone, per bar, per ristoranti e per alberghi.
Con la Arcisate-Stabio, volta ultimata, il territorio varesino sarà collegato con l’Europa e le sue ricchezze aumenteranno di valore perché saranno più agevolmente raggiungibili (e perciò visitabili) da un numero di visitatori che diventerà con il tempo (speriamo) crescente. Si potrebbe anche lavorare per richiedere un finanziamento intracomunitario.
Confido, sempre nello spirito della convenzione di Aarhus, che qualcuno dei Sindaci interpellati dica se abbia voglia di faticare per attuare un simile progetto. Chiaramente riceverà l’aiuto di Amici della Terra Varese. Ho chiesto loro anche di emergere dall’attuale anonimato per poter dar vita ad un convegno per lanciare la proposta e di costruire un tavolo di promozione consultivo per la costituzione di una strada delle fornaci. Solo esemplarmente lo indico come formato da un rappresentante di Amici della terra Varese, da tutti I Sindaci interessati, dall’Assessore alla Cultura della Regione Lombardia, dal Presidente dell’Associazione Commercianti, dal Presidente di Federalberghi della Provincia di Varese, dal Professore Giuseppe Armocida dell’Università dell’Insubria.
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