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Storia

IL GIALLO DI DON ELIA

SERGIO REDAELLI - 15/05/2015

lapideSembra una trama poliziesca e invece è tutto vero: la lapide di un sacerdote di Induno Olona morto nel 1608 “sparisce” dalla chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista durante i lavori d’ampliamento nel 1735 e ricompare ai primi del Novecento in una galleria d’arte milanese che la vende a una ricca benefattrice; costei ne fa dono nel 1914 alle Civiche raccolte del Castello Sforzesco, all’epoca diretto da Luca Beltrami e viene “messa a parete” nella cappella ducale nel 1915, poi finisce in deposito al Comando dei vigili urbani in piazza Beccaria negli anni settanta, viene restaurata nel 1988 ed esposta nella mostra “Milano ritrovata”; infine immagazzinata a Palazzo Marino, dove si trova tuttora.

È il lungo, incredibile percorso che una lastra di marmo di Candoglia ha compiuto prima che un’abile investigatrice, la storica dell’arte Camilla Anselmi, riuscisse a ricostruirne le tappe in un libro sulle sculture del Castello Sforzesco. La scheda della lapide di don Elia Buzzi si trova alle pagine 422-424 del volume “Museo d’arte antica del Castello Sforzesco”, tomo terzo, pubblicato da Electa, che cataloga le sculture lapidee realizzate tra il Cinque e il Settecento (c’è anche Michelangelo), conservate negli spazi del castello o custodite nei depositi esterni. Qui arriva la sorpresa che aggiunge un pezzo di storia, finora ignoto, della chiesa parrocchiale d’Induno Olona.

Don Elia faceva parte della famiglia Buzzi, una casata ticinese del XV secolo nominata nel Libro della Nobiltà Lombarda che si estinse nei primi anni del XX. Lo stemma della famiglia compare nella lapide che il cardinale Giuseppe Pozzobonelli vide e rubricò nella parrocchiale di Induno Olona durante la visita pastorale del 1751. Certa è dunque la provenienza della lastra che tuttavia, prima di finire sotto la lente d’ingrandimento di Camilla Anselmi, era tutt’altro che chiara. Al punto che nella scheda della Galleria delle pietre scritte, redatta nel 2006 a Milano, fu ipotizzato che il Buzzi menzionato fosse uno scultore omonimo che aveva lavorato nella Fabbrica del Duomo nel XVI secolo.

Anche in occasione della mostra “Milano ritrovata” la lapide funeraria viene esposta nella Sala Viscontea con un errore di trascrizione nel nome. Qualcosa non quadrava: il Buzzi scultore non aveva mai preso i voti per diventare sacerdote come era indicato nell’epigrafe della lastra. E qui interviene la nostra storica dell’arte che riconosce un po’ di merito anche al sito www.rmfonline.it: “Nel vostro sito – spiega la Anselmi – trovai un anno fa un articolo che citava don Elia Buzzi, parroco di Induno fino al 1608 e sviluppando quello spunto con accurate indagini nell’Archivio diocesano, sono venuta a capo della vera storia della lapide”.

Chi era, dunque, don Elia, per meritarsi tanto onore? Qui ci soccorre un libro di storia locale, Induno Millenaria, scritto nel 1999 da un altro Buzzi, Giampietro, che rivela piccanti dettagli d’epoca: siamo nell’estate del 1574 e la chiesa di San Giovanni Battista riceve la visita dell’arcivescovo Carlo Borromeo. Don Elia, parroco del paese dal 25 febbraio 1568, informa l’alto prelato che “gli uomini di Induno non osservano le feste di precetto, neppure le più solenni e non pagano le decime alla Chiesa”, ma a sorpresa si prende una bella strigliata dal Borromeo per il suo comportamento.

In paese qualcuno lo spia e ha riferito che gioca spesso a carte e si dimentica perfino di officiare la messa. È stato visto entrare di giorno (e anche di notte) in casa della “perpetua” Costanza che ricambia le visite per fargli il pane. Porta le calze “alla marinara” e il Borromeo gli intima di non indossarle più e lo condanna a pagare venti scudi d’ammenda. Non basta: il parroco è piuttosto avaro e si porta via la cera alla fine dei funerali, fa compravendita di frumento al mercato e ha poca cura della parrocchia e del suo gregge. Così forse si spiega che pochi parrocchiani siano in chiesa ad ascoltarlo quando parla dal pulpito.

Come va a finire questa storia? Don Elia rinunciò alla carica di parroco nel 1607 dopo quasi quarant’anni d’ininterrotta attività e gli subentrò il nipote don Giovanni Stefano Buzzi nel 1608. Fu proprio il nuovo parroco “di famiglia” a commissionare la lastra tombale in memoria dello zio e a volerla esporre in chiesa quasi per riscattarne qualche marachella e i rimproveri di San Carlo. Ma, come abbiamo visto, il viaggio della lapide era appena incominciato…

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