Grande umanista, uomo politico dalla carriera fortunata, ma determinato nel sottolinearne gli aspetti d’eticità, nemico d’ogni intolleranza, con una limpida fiducia nella ragione nel concepire forme di convivenza armoniosa tra gli uomini, sostenitore e testimone di una religione permeata di carità e alla carità orientata, uomo avvezzo alla preghiera e alla penitenza (al cilicio, al digiuno pur nel contesto della vita di corte) col suo spirito ascetico, animato da una polemica antisuntuaria di piena attualità, Tommaso Moro ci si presenta come un personaggio di tutto rilievo: capace di una fervida immaginazione al servizio della critica sociale (vedi l’opera Utopia, di immortale memoria e influenza) e di una testimonianza di fede serena e convinta sino al martirio.
Cancelliere del regno d’Inghilterra ai tempi di Enrico VIII dal 1529, ma già consigliere del re nella stesura di un’opera in difesa dei sette sacramenti contro le dottrine di Lutero, che è valsa al monarca il titolo di Defensor fidei nel 1521 da parte di Leone X, non condivide l’intenzione del re di ripudiare Caterina d’Aragona per sposare la giovane cortigiana Anna Bolena e si dimette nel 1532; oppone un severo diniego a pronunciarsi sull’Atto di successione e sull’Atto di supremazia, con cui Enrico VIII si proclama capo supremo in terra della Chiesa d’Inghilterra, provocando lo scisma anglicano (silenzio che significa una netta opposizione). Incarcerato nella Torre di Londra, vi rimane per quindici mesi ed è condotto al patibolo il 6 luglio 1535.
Per il martirio e il costume di vita è proclamato Beato da Leone XIII nel 1886, santo da Pio XI nel 1935 e il 31 ottobre del 2000 da Giovanni Paolo II patrono dei governanti e dei politici. Dal 1980 è venerato coma santo anche dagli anglicani.
Pubblicato a Lovanio, anziché in Inghilterra per le parole roventi di critica alla società contemporanea, nel 1516, Utopia, attraverso la narrazione fantastica di un viaggiatore, Raffaele Itlodeo, ci presenta un’isola solitaria, immaginaria, difesa da acque e foreste, che vive d’ordine e di misura, all’insegna di uno spirito di geometria, che si colloca fuori dal tempo. Il lavoro, doveroso, impegna gli abitanti per sei ore quotidiane, lasciando tempo libero per coltivare la mente. Vi è predicata l’estinzione necessaria della proprietà privata, radice di ogni male, con abolizione del denaro. Ognuno professa la religione che desidera, ma tutti concordano nel credere a un Essere supremo e all’immortalità dell’anima. L’intolleranza religiosa è punita con l’esilio e la schiavitù, l’ateismo con l’emarginazione e il divieto di ricoprire cariche pubbliche. Gli isolani di Utopia non conoscono la Rivelazione e vivono in condizioni di pura natura. L’impronta si direbbe di carattere deistico. è valorizzato l’istituto della famiglia.
Tommaso Moro esercita nell’opera un gusto scintillante per il paradosso e l’arguzia, è sottile nell’argomentazione. Di fronte alla follia e alla violenza della società mordaci sono l’ironia e il sarcasmo (si accomuna all’amico Erasmo da Rotterdam). L’Europa gli appare nella premessa organizzata per l’oppressione dei poveri. “Quel rimeritare nel peggiore dei modi proprio le persone più benemerite della società, che in precedenza appariva ingiusto, costoro non solo l’hanno instaurato come abuso, ma lo hanno solennemente legittimato come giustizia. Mi viene in mente che si tratti di una conventicola di ricchi, che sotto nome o pretesto di Stato, pensano a farsi gli affari loro”.
Tommaso Moro ha davanti agli occhi il fenomeno delle enclosures, le pratiche di avidità del protocapitalismo, siamo nel periodo che Karl Marx definirà dell’accumulazione primitiva o originaria. Gli agricoltori vengono sradicati dalle loro terre, costretti a inurbarsi, diventando veri e propri schiavi, ridotti alla disperazione. Il terreno agricolo si trasforma in pascolo per le pecore “diventate tanto fameliche e aggressive da divorarsi addirittura gli uomini e da devastare e spopolare i campi, case e borghi”. Il commercio esige che la borghesia agraria privilegi la produzione massiccia della lana, l’allevamento sulle colture tradizionali, onde la miseria del pauperismo.
Per quest’uomo dal carattere affabile, delicato, conciliante, umile, con una fede saldissima, il senso del contesto sociale fa sì che il radicalismo non si trasformi in rivolta, bensì consista in un ideale cui avvicinarsi gradualmente, inteso come sorta di lievito segreto affidato alla vocazione pedagogica ed educativa. La critica deve creare via via spazio al possibile. La dimensione è ottativa, più ancora che di una protesta risentita si tratta di un appello. Certo la dimensione nostalgica di una natura e una ragione che si pretendono intatte istituiscono un rapporto ambivalente, se non una vera e propria contraddizione rispetto alla modernità del messaggio.
L’ascendenza è quella platonica (lo Stato ideale retto da filosofi nella Repubblica; l’Atlantide disegnata nel Timeo e nel Crizia), ma non ne è accettato il superamento della famiglia. Faranno seguito ben presto la Nuova Atlantide di Francesco Bacone e la Città del sole di Tommaso Campanella. Il significato del termine utopia è da ricondurre per alcuni a luogo inesistente (dal greco ou – non e topos), oppure a luogo felice, nell’u riflettendosi la contrazione di eu (bene). Lo storico del Rinascimento Felix Gilbert ritiene plausibile la conoscenza dell’opera da parte di Niccolò Machiavelli, che nutre peraltro una concezione decisamente antitetica rispetto al nostro, contrapponendo la verità effettuale della cosa all’immaginazione di una realtà non mai vista, né conosciuta.
Nato a Londra nel febbraio del 1478 da John, uomo di legge, Tommaso Moro si afferma ben presto per l’esito brillante degli studi. A dodici anni è accolto come paggetto nella casa dell’Arcivescovo di Canterbury e Gran Cancelliere John Morton, futuro cardinale. Dal 1492 approfondisce gli studi umanistici al Canterbury Hall di Oxford, attendendo poi nella prospettiva professionale agli studi giuridici. La sua cultura religiosa attinge l’ispirazione largamente alla Bibbia, ma prioritariamente ai Padri della Chiesa anziché alla Scolastica.
Nel 1501 tiene letture pubbliche sul De Civitate Dei agostiniano. È tentato di prendere i voti attratto dalla vita austera e di meditazione dei monaci, ma nell’ottobre del 1504 rinuncia definitivamente all’idea del sacerdozio. In una lettera a Ulrich von Hutten del 1519 dichiarerà di aver preferito essere un marito casto piuttosto che un prete impuro.
I contrasti con Entico VII lo tengono lontano dall’attività politica. Con l’avvento al trono di Enrico VIII si dispiega la sua attività pubblica : rappresenta la City nel Parlamento, ricopre la carica di vicesceriffo di Londra, è protagonista di varie missioni all’estero, seda rivolte, è nominato cavaliere, divenendo vicetesoriere d’Inghilterra. Nell’ottobre del 1517 dirime una controversia in tema di pirateria.
La guerra di corsa sul mare è particolarmente favorita da Enrico VIII. Moro concepisce l’attività di governo come esercizio di virtù al servizio non del potere per sé concepito, quanto della giustizia (la lex positiva non è tutto e non è l’essenziale). Estremo valore ha per lui la centralità della coscienza, con i suoi moniti, la sua severa ineludibile vigilanza.
Il primo degli scritti di Tommaso Moro di cui si abbia notizia è una Vita di Pico della Mirandola (1510), biografia idealizzante che esalta la dignità e peculiarità dell’essere umano (nel microcosmo si rispecchia il macrocosmo). Del 1513 è l’inizio di stesura della Storia di Riccardo III (1452-1485), ultimo re della dinastia York, drammatica parodia non pubblicata di un sovrano terribile. Nel 1518 escono a Basilea gli Epigrammi, combattendo l’ipocrisia dei potenti ecclesiastici e laici (vi compare qualche spunto di misoginia). Nel n. 119 è sviluppata l’analogia fra il mondo e la prigione: nel carcere della terra siamo tutti rinchiusi condannati a morte.
Nel 1529 col Dialogo sulle eresie Moro le condanna in quanto insubordinazione sociale, seme di rivolta. Convertire è comunque per lui sinonimo di persuasione, non di persecuzione. Del 1534 è il Dialogo del conforto nelle tribolazioni: alla figlia prediletta Margareth confida che la sua resistenza è dovuta a un problema di coscienza, onde il rifiuto di giurare, il silenzio opposto, più eloquente di ogni aperta condanna delle pretese assolutiste avanzate da Enrico VIII.
Il Dialogo esprime un’esperienza mistica incandescente. Del rigore morale, dell’inflessibilità di Tommaso Moro, del suo spirito di indipendenza, rimane adeguata espressione nel detto: etiamsi omnes, ego non.
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