L’abitudinarietà e il ritualismo sono rischi che si corrono anche nella celebrazione dei sacramenti.
Esteriormente tutto può sembrare svolto con correttezza formale; a mancare però – almeno in una certa percentuale non quantificabile – è l’attenzione del cuore al mistero profondo dell’uomo nel suo rapporto con Dio.
Ad esempio, da parte del penitente: la preparazione superficiale e affrettata, l’accusa fatta con un elenco impersonale di colpe, il proposito privo di una seria volontà di cambiare vita, ecc.
Invece, per quanto concerne il confessore: uno stile abitudinario senza nessun sentimento umano e religioso nell’accostare i penitenti e nell’esplicare il “servizio” della misericordia divina, dove la genericità delle ammonizioni non aveva calore persuasivo nei confronti di chi era venuto con la speranza di essere compreso e di ricevere una parola precisa e chiara di guida e di conforto.
Contro tutto ciò reagisce, a buon diritto, sia la mentalità moderna che la riforma liturgica proposta al nostro impegno pastorale.
La remissione dei peccati che, nella professione di fede di ogni messa, tutti diciamo di credere, non è semplicemente un “colpo di spugna” sulla lavagna dove sono scritti i nostri errori, ma molto di più.
Basta considerare il valore della parola “perdono”, che in greco è detto con un verbo di movimento (afiemi), come una forza che fa partire, l’inizio di un viaggio: evoca la carovana che parte al levar del sole…, la nave che salpa…, l’uccello che spicca il volo…, la freccia che scocca…
La remissione dei peccati mette sentieri nel cuore, è rivolta non tanto ai peccati di ieri, quanto ai germogli buoni che spuntano oggi e si arrampicano nel cuore.
Dio non perdona come uno smemorato, come uno che dimentica i miei peccati, ma come un innamorato. Infatti “ti ama davvero solo chi ti obbliga a diventare il meglio di ciò che puoi diventare” (Rainer Maria Rilke).
Dopo la sua grazia, tocca coerentemente a noi: se il perdonare è l’apice per chi crede (è la manifestazione più grande della misericordia), il nostro perdono è l’azione umana che corrisponde al dono di Dio.
Partendo dal perdono delle offese, abbiamo nuove impegnative mete da raggiungere per essere “figli del Padre celeste, che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Perciò amate i vostri nemici!”.
L’agire del Padre – la nostra immagine/somiglianza da comprovare – sta nel cuore gratuito, che ispira gesti di assoluta libertà, senza considerare meriti/demeriti umani.
Alla logica, spesso così discriminante e distruttiva, del merito, il Vangelo ci insegna a sostituire quella della grazia, cioè la logica del gratuito, che costruisce rapporti completamente opposti e liberanti.
È il gratuito la base spirituale e teologica della riconciliazione.
“Bisogna vedere la bontà che c’è in ognuno, e aiutarlo a scoprirla da se stesso e in se stesso” (Richard Bach).
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