“This is Paolo Grassi’s wife, Connie. I hope someone can translate this for you. Paolo is dead. Paolo e morto”. È martedi sera e a Varese e in Italia la notizia della morte di Paolo Grassi (il militare italiano, ex parà della Folgore, ucciso ad Anchorage) è rimbalzata da diverse ore attraverso i media. Ma quando, sui messaggi privati di facebook, leggo queste semplici parole di Connie, la moglie del giovane ucciso brutalmente per mano assassina, non riesco a fermare un pianto dirotto.
Mi scrive sperando che qualcuno possa tradurmi la triste realtà riassunta in poche righe. Purtroppo non servono traduzioni e, nel mio inglese approssimato, le rispondo “Dear Connie, I knew this terrible news only yesterday…All italian media talked about it. I really loved him. I’m really close to you and to your daugther…”.
Ho voluto davvero molto bene al mio alunno di tanti anni fa, col quale mai avevo interrotto i rapporti, nonostante la lontananza e I fugaci ritorni a Varese dalle tante parti del mondo in cui si trovava. Facebook ultimamente aveva facilitato la nostra corrispondenza che era diventata pressoché costante. L’ultima chiacchierata nei giorni tra il 18 e il 20 aprile…Una serie di suoi messaggi a commento di un mio post che parlava di una attività nella scuola in cui sono attualmente e due di questi in particolare ho ora copiato per conservarli “ sei la miglior prof che un alunno possa avere…grazie di tutto …” e “Luisa non sono in un bel posto ma fra poco torno in Alaska e poi ad agosto sarò in Italia…non vedo l ora”.
In questi giorni, in cui la scuola è al centro del dibattito politico nazionale, non posso che pensare a come la vita dentro una classe sia scrigno prezioso di rapporti e di affetti e a quanto questi legami possano costruirsi, consolidarsi, diventare adulti con il crescere, a loro volta, dei ragazzi che noi insegnanti incontriamo nel quotidiano. Paolino era il vezzeggiativo con cui lo si chiamava e Gigi il nomignolo che, per una vicenda del tutto casuale, gli avevo attribuito e che era restato nel tempo il modo familiare e affettuoso mio di chiamarlo e suo di firmarsi quando mi scriveva. Ho ancora tre libri di storia che dalle mie mani erano passati alle sue quando stava preparando l’esame orale per l’ingresso nell’esercito e che poi gli avevo richiesto “in prestito” una volta in cui cercavo dei documenti che sapevo essere raccolti in quei volumi. “Però me li ridai – mi aveva detto – voglio che mi restino perché mi hai insegnato ad amare la storia contemporanea”. Ora sono ancora qui, pronti e impacchettati, perché glieli avrei ridati alla prossima occasione….che fino a due settimane fa pensavo sarebbe stata l’estate.
La vivacità di Paolo era contagiosa, così come la sua semplice spontaneità e la dolcezza del suo cuore cosmopolita: aveva fin da ragazzo tanti amici stranieri e, nella classe del linguistico, la sua più cara e fraterna amica era una bellissima compagna dominicana. Non mancava quindi che i due improvvisassero all’intervallo qualche lezione di salsa e balli caraibici di gruppo che calamitavano in classe uno stuolo di altri alunni. E ancora, sempre affamato per le tante energie che bruciava facendo lunghi tragitti di corsa in città quasi quotidianamente, Paolo riusciva a trasformare lo spuntino di metà mattina in un vero e proprio pasto che si gustava sul banco imbandito a mò di tavola, con tanto di tovaglia…e portando cibarie per tutti. Ma soprattutto ricordo di quegli anni la passione smisurata per la storia attuale, le vicende politiche internazionali e le lunghe chiacchierate che facevamo perché cercava notizie, le commentava, le portava con spontaneità nella attività di classe, con un piglio tutto suo e una capacità di analisi che non lasciava dubbi sulla competenza che si sarebbe costruito in materia e, fin da allora, anche su quello che sarebbe stato il suo percorso dopo il liceo.
Poi qualche anno fa una mattina era comparso a scuola con la bella ragazza americana che era diventata sua moglie, per presentarcela. Ed altre volte mi aveva chiesto di potere entrare nelle classi quinte per parlare delle missioni di pace alle quali aveva partecipato e, supportato da documenti multimediali, era sempre capace di intrattenere per ore i giovani che lo ascoltavano. Ho temuto per lui quando mi ha informata, per ben due volte, di “averla vista brutta” e di essere stato ferito. Ho gioito con lui quando mi ha annunciato che sarebbe diventato padre e quando poi la piccola è nata. Ho pensato di rivederlo presto quando pochi giorni fa mi ha detto che ad agosto sarebbe tornato in Italia. Ma Paolo is dead.
Quello specialissimo Paolo che ha saputo vivere e costruire, nella semplicità, una “buona scuola” di amicizie, affetti e generosa condivisione. Quella buona scuola fatta di bene per i propri ragazzi e del desiderio di mettersi accanto a loro, un po’ guidandoli e un po’ lasciandosi guidare dai loro sogni e desideri
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