A quanto pare Giacomo Leopardi, oltre a essere uno dei suoi poeti preferiti, è anche un cruccio per il regista Mario Martone.
E qui sta il problema. A questo pensavamo leggendo della polemica intercorsa sul Corriere della Sera, qualche settimana fa, tra il regista cinematografico e il professor Ernesto Galli della Loggia, editorialista del giornale. Il nodo della questione, palesatasi nel momento in cui Martone s’è recato in Francia per presentare l’edizione d’Oltralpe del suo film “Il giovane favoloso”, che è appunto una biografia di Giacomo Leopardi, ci conferma alcune perplessità che già s’erano rilevate l’autunno scorso, quando il film era uscito nelle sale italiane.
Nonostante il successo di pubblico riscontrato, da noi e a quanto pare anche in Francia, la storia umana e poetica di Leopardi, così com’è stata trattata, c’era parsa limitata, poco emozionante. Del poeta usciva alla fine un’immagine un po’ bignaminesca, cioè poco meditata, e a tratti anche caricaturale, come la figura del poeta offerta da Elio Germano, che è un bravo attore, ma poco adatto forse, anche fisicamente, a interpretare Leopardi.
Le dichiarazioni rese al giornale francese Le Monde (poi corrette nella replica a della Loggia e al Corriere) hanno supportato la nostra impressione di una scarsa o soprattutto falsata conoscenza leopardiana da parte del regista. In sostanza, aveva sostenuto Martone parlando ai francesi, in Italia si è letto il Leopardi senza mai riconoscerne lo spirito ribelle, e soprattutto senza riconoscere che fosse ateo, cosa non accettabile in un paese fortemente cattolico come il nostro. Ernesto Galli della Loggia aveva poi individuato nelle parole di Martone l’elogio di un’affermata sapienza francese, che aveva saputo bene metabolizzare la propria storia (anche non poetica), a differenza dell’Italia che invece non ha mai superato il proprio Ottocento.
Galli della Loggia, dunque, ha criticato con causticità le affermazioni di Martone a suo giudizio ingiustificate, perché Leopardi è stato ed è un poeta studiato e bene accettato (e anche dal mondo cattolico, aggiungiamo noi, se è vero com’è vero che proprio nei seminari si usano spesso gli stessi testi antologici e critici in uso nella scuola pubblica; su tutti i bellissimi manuali Gianni-Balestreri-Pasquali che la nostra generazione, di poco precedente a quella del regista, ha avuto come guide).
Successivamente, replicando a della Loggia, Martone come si diceva ha un po’ corretto il tiro, rispetto alle sue prime affermazioni fatte al giornale francese, sottolineate e criticate dall’editorialista del Corriere come una denigrazione degli approfondimenti culturali italiani. Martone ha infatti parlato, un po’ genericamente, di un Leopardi non bene integrato nelle conoscenze degli italiani, di un autore considerato a torto solo un poeta del dolore (ndr, ma anche di quello in verità), insomma di una vittima di luoghi comuni e in definitiva probabilmente poco apprezzato per la sua poesia profonda e immortale.
E qui, ancora, a parte il giudizio che Martone può avere o no di Leopardi e quello che invece, secondo lui, è il sentire comune italiano, sta però anche il problema del suo film, di come lo stesso Martone ha voluto presentare Giacomo Leopardi al “grande pubblico”, di come lo ha interpretato. Perché, non essendo Martone un De Sanctis o un Citati, va giudicato come regista e come facitore di un’opera cinematografica. La vicenda di Leopardi, nel film di Martone, va oltre i “luoghi comuni” denunciati? Se ne propone in modo diverso la sua storia poetica immortale? Se ne cura, nel cinema, una nuova e autonoma opera culturale a sua volta poetica e suscitatrice di emozioni?
Stando a quanto abbiamo visto, la risposta è no a tutte le domande. Come s’era già avuto l’opportunità di far notare. Il nostro giudizio, ovviamente, è soggettivo. Di certo diverso, benché forse più approndito anche per una questione di tradizione, di quello di un “normale” spettatore o cittadino comune francese, non vellicato da una un po’ di furba propaganda.
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