Che ne sarà dei terreni e delle strutture dell’Expo dopo la conclusione della rassegna? Assisteremo ai soliti sprechi a dispetto della “mission” espositiva che si propone di combattere fame, disuguaglianze e ingiustizie nel mondo? Una delle ipotesi più interessanti è che l’area diventi un “polo” dell’Università Statale di Milano che potrebbe raggruppare le facoltà di fisica, chimica, agraria, scienze e informatica ora sparse in città, liberando le vecchie palazzine in via Celoria a Città Studi e dintorni. Aule, laboratori, auditorium, residenze e spazi per lo sport troverebbero posto su una superficie complessiva di 200 mila metri quadrati, ora occupata dall’Expo.
Il progetto pare abbia suscitato l’interesse del governo che potrebbe investire dei capitali. Tuttavia, i segnali non sono del tutto incoraggianti: lo scorso novembre il primo bando che prevedeva l’assegnazione dello sviluppo immobiliare dell’area post-Expo a un operatore privato, è andato deserto e si lavora anche a ipotesi alternative (città della scienza, parco tecnologico, uffici dell’agenzia del territorio, stadio del Milan, centro produzione Rai?). L’esempio da non imitare è Siviglia dove la “nuova città” costruita lungo il fiume Guadalquivir per l’Expo del 1992 è stata abbandonata e oggi è un monumento allo spreco di denaro pubblico e al degrado. Tutto il mondo è paese.
Andrea Orlandi, assessore al bilancio e tributi, patrimonio culturale, società partecipate e politiche giovanili del Comune di Rho, conferma il progetto: “L’università Statale pensa a due poli accademici, quello storico in via Festa del Perdono e quello nuovo da costruire su quest’area. Per il Comune di Rho e per la zona circostante sarebbe un’opportunità perché un campus universitario porta con sé vitalità culturale, sociale, ricreativa e sportiva. Rispetto all’impegno del governo – puntualizza Orlandi – non si può al momento dire nulla, se non che l’università è un organismo che dipende anche da Roma e il governo potrebbe coprire il gap in termini di risorse finanziarie che oggi mancano per rendere fattibile l’idea”.
Aldilà dei dubbi, dei timori e delle criticità l’ipotesi dunque esiste, è concreta. La costruzione della cittadella richiederebbe uno sforzo economico – circa 400 milioni di euro – in parte coperti dall’ateneo vendendo altri immobili di sua proprietà. Tenuto conto che l’area complessiva che sarà lasciata libera dall’Expo è di oltre un milione di metri quadrati, togliendo la metà destinata a verde e i 200 mila mq della Statale, rimarrebbero altri 300 mila da definire. Il governatore Roberto Maroni è favorevole: “Lo dico da ex studente della Statale e da amministratore lombardo, portare l’università sulle aree di Expo è un’ottima soluzione. Siamo stati informati per tempo del progetto e ci convince perché attirerebbe moltissimi giovani. Le difficoltà economiche sono superabili. Faremo un tavolo tecnico”.
Maroni è talmente convinto della bontà dell’idea da chiudere un occhio sul resto: “Per quanto riguarda il costo dell’operazione posso già dire che la Regione, nel caso in ipotesi, non pretenderebbe la restituzione dei soldi che ha messo per acquisire i terreni all’interno di Arexpo”. Arexpo è la società (Comune di Milano, Regione Lombardia e Fondazione Fiera Milano soci principali) che acquistò l’area di 1,1 milioni di metri quadrati per la maggior parte di proprietà della stessa Fondazione Fiera Milano e del gruppo Cabassi (“a prezzo d’esproprio”, sostiene il gruppo) per 120 milioni, prestati dalle banche. Costi dell’operazione a parte, la prudenza è d’obbligo: bisogna valutare l’impatto che il progetto avrebbe sul resto dell’area, l’aspetto economico e la necessità di procedere in fretta con bandi e gare.
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