Si apre a Milano EXPO 2015 con il nobile tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Per la prima volta nella storia delle Esposizioni universali tra le 140 nazioni partecipanti c’è anche il Vaticano con un proprio padiglione e un programma ambizioso (Non di solo pane). La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ha sancito nel 1948 che il cibo è un diritto fondamentale dell’uomo, ma purtroppo la fame ancora oggi uccide ogni anno 870 milioni di persone; la media della sottonutrizione globalmente si attesta sulla percentuale dell’ 11, 1%, ma in Africa sale al 20, 5% (vent’anni fa era del 27, 7%), in Asia del 12, 7% (di contro al 23, 7%). Per converso vasti strati di popolazione soffrono del problema opposto: l’ipernutrizione affligge la società affluente con malattie correlate a sovrappeso e obesità (sovrappeso sulla terra figurano 1, 4 miliardi di persone, obese 500 milioni). Per l’OMS i problemi di salute per scorrette abitudini di vita e cattiva alimentazione riguardano il 75% del totale, mentre all’inquinamento è dovuto l’11% e allo stress il 6%.
Ogni anno si sprecano 1, 3 miliardi di tonnellate di cibo (670 milioni nei paesi ricchi, 630 in quelli poveri) sui 4 miliardi di tonnellate disponibili per consumo (550 kg per abitante). La responsabilità diretta del consumatore finale risulta di 110 kg, mentre al sistema di distribuzione e vendita sono da attribuire 170 kg. La quota del cibo sprecato, una volta recuperata, basterebbe a sfamare tutta la popolazione sottonutrita del mondo. Due miliardi di persone soffrono la mancanza di micronutrienti, quali vitamine, sali minerali, ma ogni giorno al mondo divoriamo settecentomila tonnellate di carne. Per produrre un solo kg di carne rossa occorrono 16.000 litri d’acqua. L’OMS ci comunica che il fabbisogno d’acqua per i bisogni vitali è di 40 litri pro die, ma un americano ne consuma 425 litri (un italiano 215). Un miliardo di persone sulla terra non hanno un accesso costante all’acqua potabile (1, 4 milioni di bimbi periscono per acqua contaminata o mancante).
Di qui il monito del Papa su un’economia che uccide, sul fondamento dell’autonomia pressoché assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria; è l’economia dei bisogni indotti, artificiali, del consumo esasperato, nemica della frugalità e dei valori. Bisogna incidere radicalmente sulle cause strutturali dell’iniquità, che producono disuguaglianze abissali nella distribuzione dei vantaggi. Monsignor Luca Bressan, Vicario episcopale e Presidente di Caritas ambrosiana, delegato per EXPO, così commenta la situazione: “Non ci scandalizziamo più per la fame nel mondo, perché la nostra fede si è imborghesita”.
È più opportuno poi parlare di diritto al cibo non solo legandolo al profilo quantitativo e qualitativo, ma anche riflettendo sulla sua dimensione e implicazione antropologica, culturale. C’è tutto un percorso di educazione, che concerne le persone, le coscienze. Il cibo è un simbolo antropologico di pregnanza eccezionale, se non unica (mediante il legame con la terra, con il cosmo, con la società). Il far da mangiare è concreta manifestazione d’amore quotidiano. Bisogna altresì cessare d’orientare i sapori verso un minimo comun denominatore con un’eccessiva omologazione. Quanti consumano cibo in fretta e nell’isolamento, col rischio che vada perso il valore del mangiare come atto comunitario: la tavola per tradizione è luogo d’incontro, condivisione, fraternità. Un’ulteriore precisazione ci è offerta dal Commento generale n.12 (1999) del Comitato sui diritti economici, sociali e culturali (CESCR): il cibo è da dichiarare adeguato quando esente da sostanze nocive, assunto in quantità sufficiente, ma anche accettabile per una determinata cultura e religione. E c’è una sostenibilità da mettere in relazione colla possibilità di nutrire le generazioni future. Una risoluzione del Consiglio d’Europa del 2013 qualificando il diritto al cibo come diritto fondamentale, lo mette strettamente in relazione con le esigenze poste dall’ordinata convivenza. Giuseppe Dossetti poi riferiva che il diritto non deriva dal semplice fatto di essere uomini, ma necessariamente dall’adempimento di un lavoro.
Imponente è la mole delle riflessioni d’obbligo. La percentuale di gas serra prodotti dall’allevamento si attesta sul 18%, laddove quella che deriva da tutti i trasporti internazionali si arresta al 15%. Si pensi al territorio amazzonico disboscato e destinato al pascolo in misura sempre maggiore, mentre è da considerare uno dei polmoni del pianeta. C’è un forte aumento di produzione di biocarburanti. Come ovviare al fatto che nei Paesi in via di sviluppo i problemi si creano a monte della filiera agroalimentare, mentre in quelli sviluppati si pongono a valle? Lo sfruttamento eccessivo delle aree di pesca è un serio ostacolo al ciclo riproduttivo, con possibile collasso a non lunga distanza di tempo. Come risolvere il problema della invasione degli OGM, a cui non vale rimedio alcun provvedimento degli Stati nazionali di inibire o limitare l’impianto in loco, se è lasciata largamente libera l’importazione dei prodotti? E si potrebbe continuare.
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