Società

A PROPOSITO DI DEBORAH

ANNALISA MOTTA - 24/04/2015

“Aiutatemi a stare di fronte al Destino”: la preghiera di Deborah ai suoi più cari amici, in questo inizio tenero e caldo di primavera lombarda, mi lascia senza parole. Mi esplode nella mente e negli occhi, nonché nel cuore, quello Stabat mater, cantato e ritratto con dolente dolcezza da tanti artisti, tragico “stare in piedi” di Maria accanto alla croce del Figlio: uno stare alla realtà, un non sottrarsi a ciò che accade, un coraggioso “voler esserci”, stare al gioco, con tutto quello che ciò comporta. Un letto, una camera blindata in cui entrano solo madre e marito dopo una accurata sterilizzazione, un combattimento corpo a corpo di ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, in attesa di un viaggio complicatissimo e costoso (niente rimborsi pubblici, in quanto “la malattia non è riconosciuta dalla Regione”) per sostenere la speranza di continuare a vivere, di tornare a un quotidiano quasi normale. Al concerto di Laveno, sabato scorso, il figlio Matteo ha detto poche parole di ringraziamento per i fondi (cospicui) raccolti e donati: “Ho visto la mia mamma smettere di cucinare, poi camminare con le stampelle, poi su una sedia a rotelle, e oggi bloccata nel letto. Se non potrà tornare a cucinare, come una volta, spero almeno di poterla spingere ancora in carrozzina, standole vicino”.

La gente – brutto e stupido nome collettivo -, anzi le persone, si sono mosse con fantasia e affettuosa partecipazione: dando spiccioli o grosse cifre, improvvisando polentate in piazza, spettacoli di magia, concerti, autotassazioni, sconti commerciali, sottoscrizioni, feste popolari; e preghiera, una marea di preghiere, novene, fioretti ( esistono ancora, sapete?) che coinvolgono perfino conventi di clausura.

Incredulo l’uomo della strada si sorprende a domandarsi: da un male così atroce può nascere anche del bene?