Charles- Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu (1689-1755), uno dei fondatori della filosofia politica e della geopolitica, è noto soprattutto per l’opera monumentale Lo spirito delle leggi, organizzata in sei parti prive di titolo e composta di 31 libri, pubblicata a Ginevra nel 1748. L’autore vi afferma l’anteriorità delle leggi al diritto positivo e quindi la loro oggettività ed eternità. Le leggi sono i rapporti necessari che derivano dalla natura delle cose e discendono non da una causalità cieca, bensì da Dio, intelligenza creatrice e ordinatrice dell’universo. Una relazione viva e dinamica intercorre tra l’universale della ragione e il particolare molteplice e differenziato. Si devono ammettere rapporti d’equità anteriori alla legge positiva che li stabilisce. Nello stato di natura propriamente detto l’uomo non ha la tendenza al conflitto, ma piuttosto alla pace. Lo stato di guerra subentra allorché gli uomini acquistano coscienza della propria forza e si instaurano rapporti di disuguaglianza.
Lo stato di guerra teorizzato da Hobbes appartiene quindi alla condizione dell’uomo già costituito in società, non all’uomo in sé, quanto a un vissuto relazionale. Lo Stato Leviatano interverrebbe solo nel caso di un’originaria conflittualità della condizione umana per natura (siamo sulla linea di Puffendorf, Locke e Grozio). Il diritto delle genti concerne i rapporti che i diversi popoli hanno tra loro, il diritto politico riguarda i rapporti tra governanti e governati, mentre il diritto civile si riferisce ai rapporti fra tutti i cittadini. Aristotele aveva già parlato dell’amicizia politica come di una tendenza inestirpabile dell’uomo.
“Il governo più conforme alla natura è quello la cui disposizione particolare si rapporta meglio con la disposizione del popolo per il quale esso è stabilito”. Assai di rado le leggi di una nazione possono convenire a un’altra. E le leggi sono pertinenti al carattere fisico del paese, al grado di libertà, alla religione, alle ricchezze, commercio, costumi. Dal II al XIII libro Montesquieu contempla le diverse tipologie istituzionali di associazione politica: repubblicana (in cui il popolo detiene il potere sovrano – democrazia o solo per una parte- aristocrazia), monarchica (uno solo governa mediante leggi fisse e stabilite), dispotica (uno solo senza legge e senza regole soddisfa volontà e capricci). Le contraddistinguono virtù politica, onore, timore o terrore.
Il governo monarchico è caratterizzato dai poteri intermedi. La piega assolutistica del potere monarchico in Francia ne denunciava la linea involutiva. Il governo dispotico sussiste nella condizione di illegalità e trova stabilità nella religione. Nel libro XI, dedicato alla costituzione inglese, Montesquieu formula la teoria della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) come equilibrata ripartizione delle funzioni di governo e di controllo. Nei libri XIV-XVII tratta le condizioni fisiche e geografico-ambientali che influiscono sulle forme di vita associata.
Le istituzioni politiche europee, che esprimono una profonda esigenza di libertà e corrispondono alla distribuzione più omogenea di un clima temperato, si contrappongono a quelle asiatiche immancabilmente dispotiche. Particolare importanza è riconosciuta alle modalità di produzione dei mezzi di sostentamento.
Nello specificare lo spirito generale di una determinata nazione Montesquieu evidenzia che col progredire del grado di civiltà, mentre si attenua il peso delle cause fisiche, aumenta l’influsso delle cause morali (libro XIX). L’autore dello Spirito delle leggi mette poi in luce l’incidenza giuridico-politica del fattore religioso, asserendo che la religione cristiana è lontana dal puro dispotismo. “Quanto al carattere della religione cristiana e a quello della maomettana si deve, senza ulteriori approfondimenti, abbracciare la prima e respingere la seconda, perché parla solo il linguaggio della spada”. Il cattolicesimo poi è più adatto al regime monarchico, mentre il protestantesimo è più consono a una repubblica. Le diverse religioni non soltanto non diano fastidio allo Stato, ma non se ne diano neppure vicendevolmente. I libri dal XXVII al XXXI trattano dello sviluppo storico delle istituzioni giuridico-politiche.
Nato in uno splendido chateau a La Brède (20 km a sud di Bordeaux), Montesquieu è figlio di Jacques (appartenente alla nobiltà di toga) e di Marie-Françoise de Pesnel, aristocratica, che perde all’età di sette anni. A undici entra nel Collegio degli Oratoriani di Juilly e dimostra ben presto una grande inclinazione per lo studio. “È stato per me il rimedio sovrano contro i dispiaceri della vita”. A 16 anni si iscrive alla Facoltà di diritto di Bordeaux e nel 1708 accede, in qualità di avvocato, al Parlamento bordolese. A Parigi comincia a frequentare Fontenelle. Nel 1716 ottiene la prestigiosa elezione nell’Accademia di Scienze, belle lettere e arti di Bordeaux.
Dopo la Dissertazione sulla politica dei Romani nella religione, concepita come instrumentum regni, nel 1721 esce anonima la sua prima opera di rilievo: Lettere persiane, in cui mette in luce le incongruenze e le contraddizioni tipiche della cultura europea, l’ipocrisia e irrazionalità delle strutture religiose e sociali francesi, grazie alla fictio di un viaggio in Europa di Rica e Usbek.
Le riflessioni filosofiche sono di tono irridente e ironico. Si affaccia nell’opera la preferenza di Montesquieu per le forme di governo temperato con l’elogio appassionato delle repubbliche dell’antichità. Con l’aggiunta:”Ogni uomo è capace di fare del bene a un altro uomo, ma contribuire alla felicità di un’intera società significa essere simili agli dei”. Purtroppo il principio dispotico si introdusse nel mondo romano con Cesare. Quanto all’Italia gli storici vi mostrano una nazione un tempo padrona del mondo,oggi schiava di tutte le altre, i suoi principi divisi e deboli e senz’altro attributo di sovranità che una politica impotente. Un profondo pessimismo antropologico coglie nell’Europa moderna la degenerazione in senso illiberale e assolutistico di strutture di governo originariamente ispirate a esigenze di libertà. V. il genocidio compiuto in America dagli Spagnoli, lo spirito di Luigi XIV ecc.
Del 1725 sono il Discorso sull’equità, incentrato sulla virtù della giustizia e il Trattato dei doveri: quelli particolari sono subordinati ai doveri dell’uomo per un naturale principio d’altruismo mutuato dall’etica stoica. Nel 1726 Montesquieu abbandona la magistratura. Ammesso nel gennaio del 1728 all’Accademia di Francia vi tiene il discorso di accettazione. Si avventura quindi per tre anni in un lungo viaggio che lo porta a visitare Vienna, Ungheria, Italia, Germania, Olanda, Londra (l’Inghilterra è la patria delle libertà, dello Stato di diritto, della divisione dei poteri). Finissimo lo spirito di osservazione esercitato nelle peregrinazioni europee.
Del 1734 sono le Considerazioni sulle cause della grandezza dei Romani e della loro decadenza: vollero dilatare a dismisura i confini dell’Impero, dopo un’ascesa determinata da una particolare armonia tra istituzioni e virtù civiche, di qui la decadenza per la spaventosa tirannide.
Lo Spirito delle leggi è subito attaccato sia da parte dei gesuiti che dei giansenisti e messo all’Indice il 29 novembre 1751. Gabriel Bonnot de Mably, filosofo e politico, lo critica perché lo ritiene troppo vivace per approfondire gli argomenti intravisti, ma gli riconosce il merito di far odiare il potere arbitrario dalle moltitudini che lo leggono. Avrebbe esercitato grande influenza sul pensiero giuridico-politico di Kant e sui Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel. Hannah Arendt ne eredita gli accenti sulla legalità del potere. Col venir meno di questa ecco le catastrofi del totalitarismo del XXsecolo.
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