Dove la polizia è riuscita a non perdere la testa alcuni giorni fa, quando è stata aggredita a Varese da un gruppo d’immigrati, pare che la testa la stiano perdendo i politici varesini, visto alcune loro proposte in fatto di ordine pubblico. Si tratta di proposte piuttosto variegate anche se accomunate dalle medesime caratteristiche: non sono frutto di autocritica, sono irreali, sproporzionate, ideologiche e in qualche caso fuori luogo. Esse, infatti, vanno dalla proposta di far presidiare piazza della Repubblica all’Esercito, all’apertura di mercatini, come se i militari fossero dei terminator e le bancarelle del filo spinato. Seguono, poi, la richiesta di un presidio fisso della polizia municipale e la possibilità di poter far chiudere gli esercizi frequentati da perturbatori, cosa che neppure Scelba osò fare.
Nella circostanza abbiamo colto con interesse la palingenesi delle Lega che da vituperatrice dello Stato centrale adesso ne invoca i soldati per l’ordine pubblico a Varese. Rileviamo, invece, con sconforto la mancata presa d’atto della classe politica del fatto che invocando l’intervento dell’Esercito per risolvere un problema della città essa confessa, senza pudore, il proprio fallimento come classe dirigente e amministratrice di quella stessa città. Ma sull’impiego dei militari a Varese vi sarebbero un paio di problemini ulteriori sui quali, però, nessuno ha detto finora niente, forse perché niente ci capisce: chi pagherebbe e con quali regole d’ingaggio i militari dovrebbero operare stando che fino a oggi le loro presenza nelle città è stata soltanto una discreta operazione di marketing? Sì, perché se le regole d’impiego devono essere le stesse di polizia e carabinieri e meglio che i militari se ne stiano in caserma.
Sul tema sicurezza chi scrive, prendendo spunto da alcuni episodi accaduti all’epoca a Buccinasco, ebbe la ventura di anticipare sul giornale La Prealpina quel che sta succedendo a Varese, nel Varesotto e in Lombardia in questi ultimi tempi. Nella “pancia” di quel contributo il direttore del quotidiano dell’epoca volle, giustamente, inserire una dichiarazione dell’allora ministro dell’interno Roberto Maroni. Le due visioni del problema erano, ovviamente, discordi perché mentre noi sostenevamo che, stante alcuni segni premonitori, la situazione dell’ordine pubblico in Lombardia sarebbe degenerata fino a renderla simile a quella riscontrabile in altre regioni del sud del Paese, il ministro era del parere che fosse, invece, tutto monitorato e sotto controllo pur se la Lombardia figurava già al terzo posto per i patrimoni sequestrati alle associazioni malavitose.
Tale richiamo mediatico si è imposto non per accampare la primogenitura sulla previsione dei disastri in materia di sicurezza e immigrazione ma soltanto per richiamare alla memoria di chi oggi vi pontifica sopra gli errori del recente passato. La Lega, ad esempio, vorrebbe che il governo facesse oggi (e dovrebbe farlo, per carità) quel che essa non fu in grado di fare nel lungo periodo che governò assieme a Berlusconi. La sinistra, invece, continua a ritenere l’immigrazione selvaggia una risorsa – e per alcuni è sicuramente così – mentre sul tema la destra non è certo più credibile della Lega. Stante che soltanto in una settimana nel nostro Paese sono sbarcati all’incirca 15.000 immigrati provenienti dal nord Africa, che in un mese fanno 60.000, in un anno 720.000 e che i problemi della sicurezza – piaccia o no – sono connessi all’immigrazione, forse dovremmo iniziare a domandarci quale sia la migliore via d’uscita dopo esserci andati unilateralmente a infognare nella “Mare Nostrum”.
E non sarà facile uscirne con le ossa sane perché non abbiamo ancora capito, o facciamo finta di non capire per ragioni elettorali, che quello dell’ordine pubblico non è un problema di Varese, o del Varesotto ma di tutto il Paese e che, pertanto, una soluzione al problema è da ricercarsi a Roma e non certamente in prefettura, o in questura, o al comando provinciale dei carabinieri che già fanno tutto ciò che la legge consente loro di fare. E non è molto perché, disgraziatamente per loro e per noi, in questo momento a Roma siede un governo che è antropologicamente contrario a qualsiasi forma di regolamentazione dell’immigrazione e per ragioni neppure molto nobili: fin quando arriveranno immigrati le cooperative paragovernative faranno affari d’oro.
Con questi presupposti e in tali condizioni l’ultimo tentativo per arginare il disastro totale potrebbe essere quello di coinvolgere i cittadini affinché facciano, anche trasversalmente, forte pressione sul governo e sul Parlamento con qualsiasi mezzo consentito in democrazia. Disertare le urne, gli scioperi bianchi, i cortei pacifici e i comitati potrebbero essere un buon inizio.
Ma al centro del potere statale nessuno vuole prendere simili iniziative per non rischiare posizione e benefit, lasciando che siano le istituzioni territoriali che non hanno né soldi, né strumenti legislativi, a dover fronteggiare la rabbia e le paure dei cittadini. Tuttavia, sembra che i politici varesini inclinino a fare ciò che hanno fatto i governi nazionali in 154 anni di storia unitaria: risolvere i problemi del loro territorio con i fucili dei soldati, invece di concertare delle coraggiose prese di posizione con cui mettere il governo di fronte alla proprie responsabilità in tema di sicurezza.
D’altronde, dal generale Bava Beccaris, a Milano nel 1898, alle varie operazioni di controllo militare del territorio denominate, di volta in volta, Vespri Siciliani, Riace, Partenope, Strade sicure, eccetera nessun generale è riuscito a cavare un ragno dal buco: non vi riuscirono neppure i nazisti a Roma e a Napoli nel corso della seconda guerra mondiale! E per la semplice ragione che nessuna operazione militare, per quanto vasta e potente, può raddrizzare le storture sociali se non se ne rimuovano le cause che le originano, e questo può farlo soltanto il Parlamento.
Dopo, molto dopo, vengono i militari! La verità è che una classe dirigente compromessa con i centri della conservazione del potere politico, economico e finanziario (mazzette, banche e cooperative ne sono un piccolissimo esempio), il problema dell’ordine pubblico connesso, ed è bene ribadirlo, all’immigrazione se lo è posto sempre in termini di “resa” politica e mai di “causa”. Ecco perché adesso essa è costretta a fare convulsamente i conti anche con gli “effetti”. E per favorire questa improbabile redde rationem i militari non sarebbero la soluzione migliore ma, semmai, causa di una nuova fuga dalle responsabilità della classe politica e dirigente. Come avverrebbe a Varese.
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