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Editoriale

MARTIRIO

GIAMPAOLO COTTINI - 24/04/2015

martirioSempre più spesso il Papa ha ricordato in queste ultime settimane la tragedia di stragi compiute in nome di una vera persecuzione religiosa, condotta per annientare interi popoli all’interno di un panorama che il Papa ha definito come una sorta di terza guerra mondiale in atto. Recentemente facendo memoria dell’orribile strage degli Armeni, ha usato il termine genocidio suscitando anche proteste da parte della Turchia, che ritiene improprio l’uso della parola in quanto identificherebbe uno sterminio giustificato da ragioni etniche e non solo storico-politiche; ma in realtà, al di là di inutili e falsi nominalismi, rimane il fatto grave di stragi perpetrate nel silenzio colpevole della comunità internazionale.

In particolare, assistiamo ad una grave persecuzione contro i cristiani in aree del mondo a forte presenza musulmana, che fanno pensare ai martiri cristiani dei primi secoli, uccisi a causa della loro pubblica professione di fede. Oggi la persecuzione delle minoranze cristiane soprattutto nel Medio Oriente fa riflettere sull’appartenenza religiosa testimoniata sino allo spargimento di sangue, mostrando che la fedeltà alla testimonianza obbliga la Chiesa a pagare un pesante tributo di sofferenze ed ingiustizie.

La risposta a ciò è divenuto il martirio, nel senso della testimonianza estrema, come ha ricordato Papa Francesco nel suo ultimo Regina Coeli che ha richiamato come la fonte del martirio sia l’accogliere la presenza del Signore, riconoscendola come decisiva ed essenziale per la vita. La certezza che il Cristo risorto è la salvezza del mondo dona ai nostri fratelli cristiani perseguitati la forza di testimoniare la loro fede in un evento reale, sino ad essere disposti a morire per amore di Gesù Cristo, perché solo in Lui è la salvezza di ogni uomo; tanto che nulla si può anteporre a Lui che è la pienezza della misericordia di Dio. E qui si ritrova subito il senso anche dell’Anno Santo straordinario della misericordia indetto dal Papa, che richiama il valore del martirio cui oggi molti si offrono sull’esempio del sacrificio dei cristiani dei primi secoli.

Negli ultimi decenni il tributo di sangue pagato dai cristiani è stato altissimo, tanto da chiedersi cosa può spingere il credente a rinunciare persino alla vita. È evidente che la forza della fede non è la difesa di un’ideologia religiosa o la pretesa di sostenere una dottrina teologica, fosse pure la più vera: il motivo può trovarsi solo in un Amore capace di dedizione e di accoglienza, proprio di una “Chiesa in uscita” che non si arrocca su di sé per difendere i propri secolari privilegi, ma rischia l’incontro con tutti perché ognuno possa sperimentare la bellezza della fede in tutti gli ambiti della vita e della storia.

La scelta da compiere è tra la difesa di piccoli privilegi e l’impegno di dare la vita per la gloria di Dio: il Papa ce lo sta insegnando con la sua vita, il suo insegnamento, con i suoi stessi gesti, mettendo al centro proprio quella misericordia, così impossibile all’uomo, che è l’unica risposta ai massacri e ai genocidi prodotti dall’odio di chi magari si nasconde dietro a fanatismi menzogneri. Questo è il “caso serio” dell’esperienza cristiana, il test decisivo di quello che amiamo e ci sta veramente a cuore: quanto siamo disposti a “donare tutto” ad imitazione di Cristo? E come aiutare i nostri fratelli nel pericolo, senza lasciare spazio alla violenza della vendetta?

La prima sfida è contro la tentazione di lasciarsi vincere da una sorta di indurimento dell’anima che assopisce la coscienza tranquillizzandola nell’immobilismo e nella rassegnazione, mentre il compito è la testimonianza che conduce fuori da ogni sorta di autoreferenzialità per poter incontrare tutti.

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