Gli autogol, a volte, sono come le ciliegie, uno tira l’altro. È quanto accaduto sabato e domenica scorsi in due differenti circostanze: la prima in un gazebo gestito dalla Lega Nord in corso Matteotti, nel centro di Varese; l’altra su You Tube, una delle più frequentate piazze virtuali del tempo presente. Due eventi tra loro differenti ma con un comune protagonista, il sindaco della città Attilio Fontana.
Al gazebo si raccoglievano firme per l’iniziativa “Chiedo asilo anch’io, prima il cittadino e non il clandestino”. In sostanza si compilava un modulo – così hanno riferito le cronache – al fine di ottenere simbolicamente lo status di rifugiato. Secondo i leghisti una condizione che garantirebbe un buon numero di privilegi come vitto, alloggio e qualche scheda telefonica, ovvero il solito rosario di triti luoghi comuni e di amenità varie messe in piazza in vista delle scadenze elettorali prossime e future. Naturalmente senza la benché minima riflessione sui sanguinosi cambiamenti epocali che stanno ridisegnando brani del mondo a partire dal Nord Africa i cui esiti tragici sono sotto gli occhi di tutti.
Niente di nuovo sotto il sole dunque fino all’apparizione del sindaco e relativa, da parte sua, compilazione del modulo. Fontana è ovviamente libero di pensarla esattamente come i suoi compagni di partito ma, qualche volta, dovrebbe anche ricordarsi di essere il primo cittadino di tutti, dunque di rappresentare anche chi non l’ha votato e quindi non condivide le posizioni leghiste. Dunque un primo autogoal volontario. In verità un maggior senso delle istituzioni, un minimo di riserbo legato al suo ruolo non guasterebbero davvero.
Un deficit di cultura delle istituzioni che del resto è nel DNA del partito di Bossi, un vero gentleman delle istituzioni e dei loro simboli, che suggerì – molti lo ricorderanno – un uso del tricolore non esattamente in linea con il dettato costituzionale. Indicazione che trovò qualche anno dopo una ancor più rigida applicazione da parte dell’allora assessore ai servizi sociali del Comune di Malnate, Barbara Mingardi, la quale dichiarò che lei il tricolore non avrebbe voluto vederlo neanche in bagno sotto forma di carta igienica ovviamente.
Fontana, ne siamo certi, neppure nelle più infuocate dispute politiche scenderebbe a certi livelli. Sempre domenica scorsa è stato però protagonista di un altro discutibile episodio con l’adesione a un spot anti ‘ndrangheta che verrà messo in circolazione al debutto di Expo. Si tratta di un collage delle voci di undici sindaci del Nord in cui ogni primo cittadino dichiara che la ‘ndrangheta va rifiutata e combattuta. Buona iniziativa, sostenuta da ANCI e Confcommercio, tesa a testimoniare l’opposizione netta alle infiltrazioni mafiose presenti eccome nel Nord del paese. Resta però una robusta perplessità sullo slogan declinato in italiano e in un altro idioma: “La ‘ndrangheta è m….”. Slogan gratuito e inelegante declamato con esiti mediaticamente assai discutibili dai vari sindaci. Uno scivolone certo indotto dal pubblicitario di turno in cerca di un surplus di visibilità, insomma un autogol di stile, mettiamola così. Involontario.
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