A sinistra e a destra, tempi obliqui. Mappe tortuose. Paludi in progress. Cominciamo dalla sinistra. Sostiene da anni il cambiamento, ma al vederne timidi cenni, lo osteggia. Non tutta la sinistra, solo una parte minoritaria. Però proprio quella che incitava (non incita più) a innovare, se non a rivoluzionare. Un esempio rivelatore: nel 2013 il comitato di saggi istituito da Napolitano propose un carnet di riforme costituzionali e la revisione della legge elettorale. Tutti d’accordo che fosse la strada giusta, anche perché si era appena finiti nel burrone del mancato governo Bersani.
Adesso che Renzi prova a realizzare qualcosa di quel tanto, ecco (ma guarda) ad avversarlo l’ala bersaniana del suo partito, oltre a cespugli vari del radicalismo presente in Parlamento e di diverso (opposto) segno ideologico.
È un evidente rifiuto della novità. Qualunque sia la novità. I contestatori del premier potrebbero obiettare in positivo, suggerire accorgimenti praticabili, aiutare la causa comune. Invece no: alzano il muro dello scontento, muovono accuse di presidenzialismo strisciante (quando non di autoritarismo pericoloso per la democrazia), denunziano un’inaccettabile presa del potere. Ci si aspetterebbe che convenissero sulla logica del confronto: si discute, si propone e contropropone, alla fine si accoglie il prevalere di un’idea. E si collabora a realizzarla. Ma non va così: piuttosto che seguire la regola del buonsenso, si sta dietro a quella del nonsenso. E vien dato corpo alla sostanziale alleanza con la destra antirenzista: un capolavoro d’harakiri.
Sorprendente? Fino a un certo punto. La sinistra è specializzata nel farsi male da sola. Se non lo fosse, governerebbe l’Italia da un pezzo e praticamente senz’avversari. Diciamo dall’epoca di Craxi in avanti. Ma il Cinghialone subì l’ostracismo di chi gli doveva essere alleato naturale, e un Paese che si sarebbe potuto modernizzare rimase ormeggiato alla conservazione. Craxi, tra i molti e noti difetti, aveva qualche virtù: un’insostenibile leggerezza, agli occhi grevi degli specialisti nel fuoco amico. Nascosti come ombre.
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Ed eccoci alla destra. Improvvisamente, dopo che per quasi vent’anni lo hanno idolatrato fino a rasentare il ridicolo, i seguaci di Berlusconi scoprono che l’ex Cavaliere è il depositario d’ogni nequizia. Hanno avuto due decenni per scoprirne le manchevolezze, ma sono trascorsi invano. Le critiche degli avversari politici han sempre ricevuto sdegnata risposta (non risposta), le autocritiche casalinghe non hanno mai trovato coraggiosi (bastava dignitosi) interpreti. Ora, di colpo, i più fedeli diventano i meno affidabili. L’omaggiato padre-padrone subisce ogni peggior scudisciata dissacratoria.
Spiega Giuliano Urbani, che nel ’93 progettò Forza Italia: “Nel momento in cui a sinistra Berlusconi non fa più paura, a destra viene considerato né più né meno che un’anticaglia, un reperto, un ostacolo da rimuovere”. Una giravolta politica, un cinico voltafaccia, un’ingratitudine umanissima nella sua malinconia. La sindrome rancorosa del beneficiato non è un’invenzione di spericolati fantasticatori, è una realtà che ricorre, e di cui prendere atto. Paradossalmente, chi ha più ricevuto da Silvio, meno gli restituisce. Dichiara uno di quelli che gli sono rimasti accanto: “È comodo stare vicini al sole quando splende, meno facile quando cala la sera. Troppi hanno condiviso un percorso di potere, non un percorso umano e politico, per cui adesso scendono dal tram”.
È un tram con tante carrozze. Dalle quali, a dire il vero, non si vedono saltar giù delle persone. Solo delle ombre. E neppure nascoste.
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