I TRE CARATTERI DELLA RESISTENZA

VALERIO CRUGNOLA - 16/04/2015

Saggio storico di Valerio Crugnola

1.  Memoria discontinua e memoria frantumata 

Occorre evitare di fare della Resistenza una categoria dello spirito, di abbandonarsi a stereotipi, di ridimensionare ma anche di sovradimensionare il ruolo della lotta partigiana, di far prevalere un approccio retorico che esalta l’eroismo delle azioni partigiane, di accantonare i passaggi difficili, le contraddizioni, le diverse soggettività, le illusioni ideologiche, le debolezze, i cedimenti e gli episodi meno gloriosi che caratterizzarono la Resistenza.

La memoria del periodo bellico in cui si situa la Resistenza non è mai stata univoca. A 70 anni di distanza non possiamo parlare di memoria della Resistenza escludendo quella di chi resistente non fu. È impossibile costruire e tramandare una memoria «unica»; in sede storiografica è più utile un mosaico contraddittorio, ma dotato di profondità di campo. Poiché ciascuna memoria è degna d’esame, ove attendibile – indipendentemente dal giudizio che ciascuno ne dà e dai diversi ordini di grandezza –, i quadri della memoria collettiva dovranno risultare dalla composizione dei diversi frantumi di memoria, senza pretendere di raggiungere un ordine coerente.

Si è distinta una «memoria discontinua» da una «memoria frantumata», costituita da strati diversi, talora contraddittori, divisi, in qualche caso antagonisti e inconciliabili.

La prima è costituita da alcuni spartiacque, temporali e spaziali, nella memoria collettiva: la percezione della guerra perduta, almeno da parte dell’Italia fascista, già diffusa agli inizi del ’42; gli scioperi del marzo ‘43; il 25 luglio; l’8 settembre; le tappe della ritirata tedesca; l’insurrezione finale. A questa si affiancano la memoria della guerra italiana come parte dell’Asse e quella della guerra come belligerante a fianco degli alleati. Vi sono almeno due memorie geografiche: le popolazioni del «Regno del Sud», dove la Resistenza non ebbe luogo, e quelle del Centro e del Nord.

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