Arriva finalmente la primavera anche a Roma. E dopo mesi di pioggia e freddo il sole scaccia l’umido e torna a illuminare i muri di travertino, peperino, marmo di tonalità rosse e gialle. La città si risveglia da un letargo grigio ed i suoi colori risplendono per piazze e vicoli.
Si capisce, uscendo solo pochi chilometri dalla capitale, come la sensibilità dei primi abitanti di queste terre fosse colpita dall’esplodere di verde, rosa, azzurro che caratterizzano la fioritura della campagna.
Non a caso nella Roma pre-cristiana tutto il mese di aprile era dedicato ai festeggiamenti per la fine dell’Inverno. Il 15 si tenevano le Feste Fordicalie, che vedevano vacche sacre immolate in onore della dea Terra; il 18 le Cerealie, dedicate a Cerere nella sua qualità di protettrice delle messi; il 21 nelle Palilie si sacrificavano agnelli per la dea Pale, patrona dei greggi e dei pastori; il 23 si libava per Giove e Venere con il vino fatto in autunno; il 25 si pregava la dea Robigo perché tenesse lontano dal grano i parassiti che distruggevano i raccolti; il 28 la dea Flora veniva sollecitata a curare la vegetazione e in particolare i fiori. E così via.
Dal bel libro di Gustave Bardy “La conversione al cristianesimo nei primi secoli” (ed. Jaca Book) si ricava questa descrizione di uno dei tanti festeggiamenti citati. Quello in onore di Cibele e Attis: “Passavano bruscamente dalla disperazione al giubilo ed il risveglio della terra dopo il lungo sonno veniva salutato con banchetti, mascherate, godimenti sregolati. Il tutto terminava con una lunga processione che dispiegava il suo fasto attraverso la campagna e la città”.
A tutto questo che cosa potevano opporre i primi cristiani nel loro timido ingresso nella Città Santa? In realtà nulla se non Cristo e questi crocifisso e risorto. E anche se la simbologia dei primi secoli rintraccia nelle catacombe riferimenti alla natura e al sorgere di una nuova creazione (basti pensare all’usanza ancor oggi nelle Chiese di Roma di portare all’altare durante i “sepolcri della settimana santa” piccoli steli di grano o lenticchia fatti crescere al buio durante la Quaresima per simboleggiare il nascere di una nuova pianta sia pur nell’oscurità della morte) la preoccupazione dei cristiani non fu mai quella di opporsi a qualcosa o qualcuno. Ma di attrarre per il fascino di un avvenimento accaduto
Un acuto ricercatore americano Rodney Stark, autore di “Il trionfo del cristianesimo” (ed. Lindau) si è domandato come abbia fatto il cristianesimo dall’anno 40 al 300 fare breccia non tanto nelle classi meno abbienti ma in quelle più colte e influenti, sconfiggendo culture consolidate come quella greca o esoterica. Stark fornisce una serie di ragionevoli risposte (non ultima la protezione e il rispetto che la donna godeva nella comunità cristiana) ma rafforza soprattutto l’impressione di una radicale diversità di vita dei discepoli di Cristo, rispetto al clima della New York dell’epoca, così come si evince da quel formidabile testo del secondo secolo dopo Cristo che è la ‘Lettera a Diogneto’.
Primavera dunque per tornare all’incipit dell’articolo. Ma per i primi cristiani, come per noi oggi, il modo di darne conto rimane soprattutto una festa dello Spirito.
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