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Società

STORIE DI PERDONO

MARGHERITA GIROMINI - 10/04/2015

Silvio Pezzotta con Elisabetta Ballardin

Perdonare è difficile, talvolta impossibile. Comunque mai facile. Ma la parola perdono è tanto abusata che a volte riesce persino a suscitare fastidio. Quando, ad esempio, il cronista pone al familiare che ha appena perduto un congiunto in circostanze tragiche, frasi del tipo: “Signora, ha perdonato l’assassino di suo figlio?”. Il perdono come una merce tra le tante, magari più nobile perché rivestita da liberalità magnanima, e di sicuro utile più per la pubblicità mediatica che per la sua essenza.

Voglio citare due situazioni esemplari di perdono che mi hanno colpito profondamente: una privata e una collettiva. Entrambe rivelano la grandezza d’animo di coloro che sono capaci di riconoscere se stessi negli errori di altri esseri umani, con ciò scegliendo di accoglierli e di donare loro una seconda opportunità.

Televisione svizzera, RSI. Pochi giorni fa il padre di Mariangela Pezzotta, giovane donna uccisa dieci anni fa dalle Bestie di Satana nel Varesotto, è stato intervistato dalla troupe del programma Falò. Il servizio includeva un lungo monologo – confessione di Elisabetta Ballardin, amica di Mariangela, ventitré anni di carcere per concorso in omicidio, una laurea specialistica conquistata negli anni della detenzione.

Nella breve sequenza di domande a Silvio Pezzotta, si incontra un uomo ancora capace di amore paterno. La terribile esperienza della figlia barbaramente assassinata dal gruppo degli amici è riconoscibile nei suoi gesti dolenti, negli occhi lucidi, nell’emozione della voce; ma si percepisce che ha trovato il coraggio di andare avanti, mantenendo viva le passioni di una vita, come quella per il ciclismo e conservando un fondo di pietà umana nei confronti della giovane colpevole.

Questo padre non ha permesso che il dolore lo travolgesse, che la rabbia e l’odio lo consumassero, come spesso accade alle famiglie delle vittime. Ha elaborato un lutto così tremendo esprimendo perdono e accoglienza per Elisabetta che all’epoca del delitto aveva solo diciotto anni. Oggi la guarda riconoscendo in lei la giovane donna che sarebbe diventata la figlia che non c’è più.

All’intervistatrice risponde: ”Io ho perso una figlia. Ma dall’altra parte si è recuperata una vita che si era persa”.

Ma non è tutto. Silvio Pezzotta ha accettato di consegnare la borsa di studio istituita in memoria della figlia proprio a Elisabetta, a cui ha stretto la mano e trasmesso il proprio credo: “Tu devi andare avanti, non fermarti mai!”.

Sud Africa 2015. Il colonnello Eugene De Kock, il più famoso assassino della storia del paese, denominato dalla stampa “Prime Evil”, il male assoluto, avrebbe dovuto scontare due ergastoli più 212 anni di detenzione. Ne ha fatti solo 20 ed è tornato libero sulla parola. Capo di uno squadrone della morte, per tutta la durata del vecchio regime sudafricano uccise, torturò, fucilò, impiccò e nascose centinaia di oppositori. Al processo confessò di aver solo eseguito gli ordini dei superiori.

In carcere ha dato segni di pentimento, ha incontrato i familiari delle sue vittime, ha chiesto perdono e da qualcuno lo ha anche ricevuto. Lo Stato ha creduto al suo rimorso e lo ha scarcerato.

Come me sono certa che tanti siano rimasti allibiti: io, noi, mai avremmo potuto “perdonare” un criminale tanto efferato.

Il Sud Africa invece lo ha saputo fare, segno della grandezza della giovane nazione, espressione del grande cuore dei suoi cittadini.

Vorrei imparare da queste due lezioni di vita, e da altre che senz’altro esistono, a non abusare mai più del termine perdono.

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