Non fosse stato per lui, ordinario di statistica metodologica alla Bicocca, probabilmente questo singolare e commovente gemellaggio non avrebbe visto la luce. Parliamo di Giorgio Vittadini, docente e scrittore, curatore insieme a un folto gruppo di amici della mostra “Mondo Piccolo-Roba minima”, dedicata appunto a Giovannino Guareschi e a Enzo Jannacci, che sta girando Italia dall’estate scorsa ed è approdata – sotto forma di spettacolo con musica dal vivo – a Luino.
Chi ama questi due straordinari autori, così apparentemente distanti per età, formazione e talento, non farà fatica a comprendere il perché dell’accostamento, dichiarato d’altronde nel sottotitolo, “Le periferie esistenziali in Guareschi e Jannacci”.
Basta riascoltare certe canzoni o rileggere certi racconti, per accorgersi di quanto siano simili i protagonisti di questi due mondi che a prima vista sembrano così lontani: il mondo contadino e semplice della Bassa, da una parte; dall’altra i quartieri poveri e malfamati di una Milano sempre più disumana. Come dice Vittadini: “È gente apparentemente emarginata, strana, certamente non al centro della vita comune, tutti con una umanità diversa. Ma sono persone che non cedono al soldo, all’interesse, al comodo, alla massa; obbediscono solo a qualcosa che gli viene dettato direttamente dal cuore”.
E le periferie, allora, cosa c’entrano? “Il loro cuore è una periferia: ma allo stesso tempo questa periferia è posta come un centro interessante da guardare. Un problema di oggi è proprio quello di non sapere obbedire al nostro cuore. Siamo schiavi di ciò che abbiamo intorno, del potere, della comodità, dei soldi, degli interessi. Invece i personaggi che vi parlano possono perdere tutto, ma non la propria dignità. Sono persone che obbediscono al cuore a qualsiasi costo”. Come il condannato di “Sei minuti all’alba”, che vuole morire da uomo (Dai, allunga il passo perché: ci vuole dignità) o il soldato terrone e analfabeta che non può non sorridere alla vita anche se non c’è nulla di cui sorridere, o il barbone che “anca mi, mi g’ho avü il mio grande amore, roba minima, s’intend, roba de barbun”. Indomabili e perciò unici, ma anche tagliati fuori, come, a ben guardare, i due artisti, che il mondo “che conta” non esitò a emarginare, in modi differenti e drammatici, non potendo omologarli.
Cuore della serata, così come della mostra, è un video che racconta Enzo e Giovannino attraverso le loro stesse parole, con una chicca straordinaria, la registrazione di un duetto surreale Jannacci-Gaber. Anche questa è una scelta precisa dei curatori: “Non cerchiamo di spiegare chi erano Guareschi e Jannacci. Gli spettatori non devono vedere me, devono incontrare questi personaggi. E per farlo useremo frasi di canzoni e racconti, foto, disegni. Noi vorremmo che la gente non ragionasse, ma incontrando questi personaggi si sentisse guardata. Esattamente come succede nella canzone ‘Gli zingari’ di Jannacci”.
Parlano al profondo di ciascuno di noi, queste canzoni a volta strampalate, queste favole moderne drammaticamente realistiche, con un fascino innegabile e perenne. “Proprio perché – conclude Vittadini – la periferia esistenziale è il nostro cuore, cioè qualcosa che abbiamo ma che non possediamo, non controlliamo. La loro non è la solita retorica dell’emarginato. Quando papa Francesco ha parlato di periferie esistenziali ci ha indicato i bisognosi per farci capire chi siamo. Siamo gente bisognosa. E così fanno i nostri grandi autori”.
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