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Cultura

LA MORTE PER IL CRISTIANO

FELICE MAGNANI - 03/04/2015

San Francesco accoglie “sorella morte”, Giotto, Firenze Santa Croce

San Francesco accoglie “sorella morte”, Giotto, Firenze Santa Croce

Due sono i grandi misteri che accompagnano il fenomeno della vita: il mistero della nascita e quello della morte. Il mistero è il filo conduttore. L’uomo non ha coscienza della sua provenienza e nel momento in cui muore, muore anche la spiritualità che lo caratterizza? In una logica prettamente razionalistica la vita umana è considerata un evento meccanicistico, legato a un atto copulativo che ne sanziona e legittima l’essere e la continuità, come se tutto fosse avvolto dalla pura concasualità delle cose e degli eventi. L’ateo non si pone troppi problemi di natura esistenziale, accetta la realtà così come si presenta nel suo carattere effettuale. Tutto si riduce a un seducente gioco della materia, di una materia che stupisce per la sua duttilità, per la sua capacità di trasformarsi, come se fosse plasmata con una speciale bacchetta magica.

L’atteggiamento umano però è molto variegato al riguardo. Ci sono persone che subiscono, altre che preferiscono non investigare, altre ancora che si appellano a una sommaria cultura esperienziale, altre che adottano l’indagine speculativa come forma introspettiva della realtà ed infine ci sono quelle persone che sentono il bisogno di andare oltre le barriere del mistero, magari affidandosi alla fede e cioè a verità rivelate che si possono incontrare all’interno della cultura religiosa.

Vita e morte sono l’una la negazione dell’altra o viceversa sono due facce della stessa medaglia? Non è assolutamente semplice smontare il mistero, perché a nessuno, oggettivamente, è stato mai consentito di svelarlo nella sua dimensione temporale. Spesso i significati nascono da forme culturali pregresse, già presenti nella famiglia di provenienza, dove gl’interrogativi hanno già avuto parziali risposte o quantomeno dagli approcci dettati da una cultura social popolare, all’interno della quale si sviluppano varie forme romanzate di verità. Sembra quasi che il mondo si divida in fortunati e sfortunati, gente illuminata e gente adombrata, profeti e renitenti, intelligenti e poveri diavoli, capaci e incapaci, fortunati e sfortunati, privilegiati e no.

 In realtà qualcosa di simile esiste, ci sono persone infatti che hanno avuto la fortuna di ricevere una buona educazione intellettuale e altre che sono figlie di un esacerbato pressappochismo, per non parlare di coloro che hanno sposato la negazione come forma di approccio alla realtà, altre ancora che sono figlie dell’ignoranza, malattia dalla quale non è facile uscire. Francesco vede nella morte una sorella della vita, la più fidata e la più fedele, la sola compagna dell’uomo nel suo ultimo viaggio di ritorno al Padre.

Ma come può un essere umano amare così tanto la morte, come Francesco d’Assisi, al punto di sentirla come una sorella? E perché non la teme? Credo che solo lui, nella sua straordinaria perfezione cristiana potesse riceverla senza ombre, con la certezza di un ritorno. E perché un ritorno? Tutto ciò lascia presagire che la morte sia tale solo in parte e che in realtà si tratti di un viaggio di andata e ritorno verso l’unica vera sorgente della vita stessa, chi l’ha creata in virtù di un grandissimo atto d’ amore.

Si può parlare di morte corporale, fisica, di consunzione terrena, ma alla consunzione del corpo, secondo il pensiero di Francesco, corrisponde la liberazione dell’anima. Una liberazione che si avvale però di una prova, la vita terrena come atto d’amore di cui il Padre Eterno ha voluto farci dono. Dunque la salvezza dell’uomo, la possibilità di vedere Dio e di adorarlo, passa attraverso la seconda vita, quella spirituale, quella che pone l’uomo in comunione con Dio.

Si tratta solo di una speranza? Per il cristiano dovrebbe essere una certezza. Dio si è fatto uomo, ha inviato suo figlio Gesù per rendere più agevole la via del ritorno, per permettere all’uomo buono di poter goderne la luce e la verità. Dunque la meritocrazia esiste, esiste nella sua accezione terrena, ma anche nella sua dimensione soprannaturale. È molto bello pensare di poter vivere di nuovo in una dimensione non oppressa dai dolori e dalle sofferenze, dove ci si armonizza con la bellezza, con l’amore e con la bontà, dove la legge non è più soggetta ad errori e dove la paura della demagogia lascia il posto alla tranquillità dell’anima. È anche responsabilmente bello sapere che il premio bisogna meritarselo, che saremo sottoposti a giudizio per quello che avremo fatto e per come l’avremo fatto.

Ritrovare la purezza del pensiero significa restituire alla temporalità la sua dimensione spirituale, la sua capacità di vivere di nuovo senza il peso di un corpo lacerato dal tempo, dalle nequizie e dalle sofferenze. Dunque la religione offre una speranza di vita eterna, promuove l’uomo, lo eleva al suo grado di spiritualità, gli fa toccare con mano la grandezza del dono che ha ricevuto, gli fa capire che il corpo fa da scudo, ma per un periodo di tempo limitato, a quella parte che sta dentro di noi e che ci caratterizza, che dà un senso compiuto alle nostre azioni, che ci fa tendere verso la bellezza come liberazione dalle brutture che condizionano e comprimono le nostre aspirazioni.

La bellezza della nostra dottrina cattolica sta proprio nell’indicarci una via, lasciandoci liberi nella scelta finale. Così è successo ai due ladroni sulla croce: l’uno ha scelto il pentimento vero, l’altro la convinzione di essere nel giusto, l’uno ha scelto il paradiso, l’altro l’inferno. Il premio e il castigo, la vita eterna e la dannazione eterna, comunque sempre un’altra forma di vita. Morire, per un cristiano significa ritornare all’origine, al principio, alla casa dalla quale l’anima ha spiccato il volo per incarnarsi.

Chi cresce accettando la morte le si avvicina responsabilmente, con rispetto, in attesa che si sciolga definitivamente la barriera che separa l’uomo dalla vita eterna, con la convinzione di chi sa di poterla affrontare con fraterna e materna tranquillità. Dunque vivere la morte significa accettarla e prepararsi adeguatamente. Pensarla ci aiuta a vivere meglio la vita, a non perdere tempo, ad amare di più il mondo nel quale viviamo, ad operare il bene e soprattutto a porci il problema del bene e del male, a vivere quotidianamente il nostro esame di coscienza, con la consapevolezza che abbiamo sempre bisogno del suo aiuto.

La morte ci riconduce alla bellezza, all’armonia, al dono stupendo della vita e credo che nessuno possa responsabilmente accettare di morire, come ci insegnavano i preti una volta, in peccato mortale. Oggi il pensiero della morte è stato esorcizzato, direi cancellato, l’uomo vive come se fosse immortale, come se la sua anima non esistesse, è diventato giudice di se stesso, agisce con arbitrarietà e in molti casi non aspira ad una morte buona, a un passaggio sereno, mediato dalla consapevolezza di un perdono grande e totale. È pertanto necessario rispolverare la vita e la morte, cercando di dare un senso più umano, vero e completo a quel cammino che ci è stato concesso con grande generosità, ma di cui un giorno dovremo rendere conto.

Resta dunque la testimonianza della vita, la più elevata forma di donazione che l’essere umano abbia ricevuto.

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